La formazione continua salva il posto dall’IA
La formazione continua salva il posto dall’IA
Un lavoratore italiano su quattro è a rischio di sostituzione. Analisi Inapp: occorre pianificare sin da subito strumenti di reskilling del personale per sfruttare al meglio l’Intelligenza Artificiale

di di Antonio Longo 27/10/2024 02:00

In Italia il 23% dei lavoratori è a rischio di sostituzione da parte dell’Intelligenza Artificiale mentre il 26,4% beneficerà delle nuove tecnologie. Complessivamente, quindi, circa metà della forza lavoro italiana è coinvolta in qualche misura dall’impatto dell’IA, sia in termini positivi che negativi.

In particolare, le donne, i lavoratori più anziani, coloro che possiedono livelli di istruzione più elevati e che partecipano a corsi di formazione tendono a mostrare un impatto maggiore rispetto all’IA. A certificarlo sono gli esiti dello studio condotto da Inapp i cui risultati sono pubblicati nel working paper «Lavoro e Intelligenza Artificiale in Italia: tra opportunità e rischio di sostituzione» che si pone l’obiettivo di determinare l’esposizione all’IA e l’importanza della complementarità della stessa nelle attività lavorative quotidiane.

In dettaglio, il focus analizza come l’IA possa influenzare e integrarsi con i compiti tradizionalmente svolti dai lavoratori. Dall’analisi emerge che le regioni del Nord e del Centro hanno una maggiore esposizione all’IA rispetto alle regioni meridionali mentre per quanto riguarda i settori economici si evidenzia che l’esposizione all’intelligenza artificiale è molto elevata nei settori delle attività finanziarie e assicurative, servizi di informazione e comunicazione, attività immobiliari, servizi alle imprese e altre attività professionali.

A giudizio degli analisti, l’obiettivo della nuova rivoluzione deve essere il potenziamento della forza lavoro e per raggiungerlo è necessario coinvolgere attivamente i lavoratori nella transizione, trasformandoli da soggetti passivi a protagonisti del cambiamento. Ciò può avvenire fornendo loro una formazione adeguata, affinché possano sfruttare al meglio i nuovi strumenti, aumentando così la competitività delle imprese e ottimizzando tempi e processi. Per i lavoratori a maggior rischio, soprattutto in età più giovane, occorrerebbe pianificare sin da subito strumenti di reskilling che permettano di assicurare un futuro adeguato.

Le professioni meno esposte all’IA

Le professioni meno esposte all’IA sono generalmente caratterizzate da attività manuali, fisiche e artistiche e da un elevato grado di interazione umana o operatività in ambienti complessi. Tra queste, si segnalano manovali e personale non qualificato dell’edilizia civile, intonacatori, lastricatori e pavimentatori stradali.

Tali ruoli, appartenenti al settore delle costruzioni, richiedono compiti fisici e manuali intensivi che risultano difficili da replicare con macchine o algoritmi di IA. Un altro gruppo di professioni poco impattate dall’IA include quelle artistiche e sportive, come atleti, ballerini, acrobati e artisti circensi che richiedono creatività, coordinazione fisica e talento individuale.

Inoltre, ci sono professioni tradizionali spesso legate a pratiche antiche e locali, che necessitano di conoscenze specifiche e manualità, come conduttori di veicoli a trazione animale e sugherai. Anche professioni altamente specializzate, come gli abbattitori di alberi, pur se sempre più supportate da tecnologie avanzate, richiedono competenze tecniche e la capacità di lavorare in ambienti non standardizzati.

Le professioni in cui è richiesta l’interazione diretta con i clienti e la capacità di persuasione, difficili da automatizzare, sono anch’esse meno impattate dall’IA, come nel caso dei venditori ambulanti.Gli esperti evidenziano che in alcune professioni si richiedono comunicazioni faccia a faccia e la capacità di interpretare e rispondere alle emozioni e alle reazioni delle persone in tempo reale. Inoltre, la comunicazione faccia a faccia e il parlare in pubblico si caratterizzano per segnali non verbali, come il linguaggio del corpo, le espressioni facciali e il tono di voce.

Tali aspetti non sono replicabili dai sistemi di IA, tanto quanto l’empatia, la comprensione e la risposta alle emozioni umane. Inoltre, i lavori che richiedono competenze relazionali, come la negoziazione, la mediazione dei conflitti e la costruzione di relazioni, sono ancora lontani da ciò che l’IA è in grado di fare.

Le professioni più esposte all’IA

Al contrario, le professioni maggiormente esposte all’IA tendono a includere compiti amministrativi, gestionali e basati su base dati anche molto complesse che possono essere automatizzati o significativamente migliorati attraverso l’uso dell’IA.

Ad esempio, ruoli coinvolti in processi amministrativi, come addetti al protocollo e allo smistamento di documenti, addetti alle buste paga e addetti agli uffici interni di cassa. Professioni come gli uscieri, sebbene comportino interazione umana, includono compiti che possono essere supportati da sistemi di IA.

Si rilevano anche posizioni manageriali, come direttori generali e dirigenti della magistratura amministrativa, che richiedono la gestione di grandi basi di dati e analisi complesse. Altre professioni, come i tecnici dell’organizzazione del traffico ferroviario e i tecnici delle biblioteche, si occupano della gestione di informazioni e utilizzano strumenti tecnologici avanzati.

La mappa della diffusione dell’IA

Le regioni italiane mediamente più esposte all’IA, ossia i territori in cui si trova il maggior numero di professionisti per i quali l’IA potrà influenzare e/o integrarsi nello svolgimento del lavoro, sono, nell’ordine, la Lombardia, il Lazio e l’Emilia-Romagna. Queste tre regioni hanno i valori medi di esposizione più elevati, suggerendo una maggiore potenziale integrazione dell’IA nelle attività lavorative. Le regioni settentrionali, come Piemonte e Veneto, mostrano una notevole esposizione, indicando un’integrazione significativa dell’IA nei settori produttivi e dei servizi. Liguria e Friuli-Venezia Giulia presentano anch’esse un’alta esposizione mentre regioni come Sicilia, Puglia e Calabria mostrano un impatto minore, suggerendo una differente distribuzione delle professioni e un diverso ritmo di adozione delle tecnologie IA.

Osservando il valore medio a livello delle singole province si rileva che le più esposte all’impatto dell’IA sono Milano, Bologna e Roma. Le province in cui si evidenzia, invece, una minore esposizione all’IA si trovano principalmente nel Sud Italia e nelle Isole, con i valori medi più bassi che si registrano a Vibo Valentia, Catanzaro e altre province calabresi, insieme a Messina, Enna e Ragusa in Sicilia. Tale dato deriva dalla minore presenza di settori ad alta tecnologia e innovazione, nonché a una struttura economica più tradizionale.

I settori produttivi più esposti all’IA

I segmenti produttivi in cui l’IA gioca un ruolo importante sono, nell’ordine, attività finanziarie e assicurative, servizi di informazione e comunicazione e amministrazione. Questi settori mostrano il maggiore impatto dell’IA, indicando un’adozione più rapida e una maggiore integrazione delle tecnologie IA nelle operazioni quotidiane. Al contrario agricoltura, costruzioni e turismo mostrano un minore impatto, suggerendo un ritmo più lento nell’adozione dell’IA e una distribuzione delle professioni meno incline a sfruttare queste tecnologie avanzate.

Caratteristiche socio-anagrafiche e impatto dell’IA

Il maggiore livello di esposizione all’IA, in media, riguarda più le donne che gli uomini. Come evidenziano gli analisti, oltre alle diverse tipologie di attività lavorative che definiscono il perimetro più oggettivo della complementarità di queste tecnologie nei vari settori, l’impatto dell’IA tra i due sessi è determinato anche da caratteristiche meno standardizzabili e più legate a competenze cognitive e trasversali. Analizzando, invece, le classi di età, emerge che il gruppo con il maggiore livello medio di impatto dell’IA è quello dei 75 anni e oltre, seguito dai 35-44 anni e dai 55-64 anni. I giovani tra i 15 e i 24 anni mostrano l’impatto minore, a causa di una minore partecipazione a professioni dove l’IA è prevalente o un ritardo nell’integrazione dell’IA nei loro ruoli lavorativi.

Per quanto riguarda il livello di istruzione, gli occupati con un diploma universitario o un diploma Its (Istituto tecnico superiore) mostrano il più alto livello di esposizione all’IA. Segue chi possiede un diploma di maturità. Gli occupati con livelli di istruzione più bassi, come la licenza elementare e nessun titolo, mostrano la minore esposizione, suggerendo una correlazione tra il livello di istruzione e l’adozione o l’esposizione all’IA.

L’importanza della complementarietà

Nel focus di Inapp si presta particolare attenzione agli indici di complementarietà, ossia al supporto che l’IA può fornire nei luoghi di lavoro più che all’effetto sostituzione dei lavoratori. Sotto tale punto di vista, se ad esempio al primo posto per maggiore esposizione ci sono gli addetti al protocollo, professioni come magistrati e direttori generali non sono più rintracciabili nelle prime venti posizioni in quanto pur essendo fortemente esposte all’IA, sono altrettanto suscettibili di complementarità nelle attività che si svolgono nell’esercizio del proprio lavoro. Di fatto, l’elevato livello di responsabilità e gli altri elementi che caratterizzano il fattore di correzione determinano un impatto dell’IA inferiore. Complessivamente, le posizioni in cui l’esposizione all’IA è alta e la complementarità si abbassa riguarda le professioni tecniche e le professioni esecutive nel lavoro d’ufficio. Quindi, si rileva un’esposizione sensibilmente ridotta per le professioni intellettuali, scientifiche di elevata specializzazione, nonché per i legislatori, imprenditori e dirigenti di alto livello.

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