Il professionista, in quanto prestatore d'opera intellettuale, è responsabile per la negligenza nell'attività svolta nei confronti dell'assistito se quest'ultimo fornisce la prova del danno e del nesso causale fra la condotta del professionista e il pregiudizio patito dal cliente. La responsabilità si declina con accenti diversi a seconda del tipo di attività, soprattutto quando il professionista “incriminato” è un avvocato o un medico. Attenzione, però: se il committente non chiede la risoluzione del contratto d'opera intellettuale ma soltanto il risarcimento, il professionista deve essere comunque pagato per la prestazione svolta perché la domanda di danni non presuppone lo scioglimento del contratto. Così la Corte di cassazione civile, sez. seconda, nell'ordinanza n. 27042 del 18/10/2024.
Compenso proporzionale a quantità e qualità. Se l'opera prestata è affetta da vizi che non la rendono tuttavia inutilizzabile, il cliente non può rifiutare di versare il compenso al professionista, che deve essere determinato dal giudice considerando quantità e qualità delle prestazioni eseguite e il risultato utile conseguito dal committente, anche in relazione ai profili di colpa ascrivibili al prestatore. Il giudice è tenuto a quantificare l'importo da riconoscere al professionista sulla base di tutti gli elementi emersi nella causa, anche quando le risultanze processuali sono carenti rispetto all'ammontare. E pure se alla prestazione specifica non si possono applicare tariffe professionali e usi. Il compenso deve essere determinato in base agli articoli 1709 e 2225 Cc secondo un criterio equitativo ispirato alla proporzionalità del corrispettivo rispetto a natura, quantità e qualità della prestazione.
L'interesse primario è la vittoria della causa. Veniamo alla colpa professionale. L'avvocato non risarcisce il cliente soltanto perché l'impugnazione che ha proposto è tardiva, laddove sarebbe stata comunque infondata: non può essere tutelato dall'ordinamento, spiega l'ordinanza della Cassazione civile 24670 del 13/9/2024, l'interesse a proporre un appello privo di ragionevoli probabilità di accoglimento. E dunque la condotta del professionista non integra un danno risarcibile per l'assistito nemmeno in termini di perdita della chance di mera partecipazione al giudizio, che non rileva di per sé: nell'obbligazione di diligenza dell'avvocato l'interesse primario del cliente è la vittoria della causa, così come è la guarigione dalla malattia in quella del medico nei confronti del paziente. È invece il riconoscimento delle ragioni del cliente il bene della vita cui tende l'instaurazione del giudizio e in quanto tale tutelato dall'ordinamento: la conferma arriva dal decreto legislativo 10/10/2022, n. 150 (riforma Cartabia), che ha inasprito le sanzioni contro l'abuso del processo per compensare “il danno arrecato all'amministrazione della giustizia per l'inutile impiego di risorse” nella gestione delle cause.
La regola del “più probabile che non”. Non si può invece negare il risarcimento del danno al paziente soltanto perché risulta facile sbagliare per il medico ecografista. Al creditore della prestazione, sottolinea l'ordinanza 22996 della Cassazione civile del 21/8/2024, basta provare sul piano presuntivo il nesso causale fra l'intervento sanitario e il pregiudizio patito, mentre spetta al sanitario e all'azienda ospedaliera dimostrare che l'inadempimento è dipeso dall'impossibilità di eseguire l'accertamento per causa non imputabile ai medici. Proprio l'alta probabilità statistica di errore nell'esame diagnostico avrebbe dovuto indurre i sanitari ad approfondire la situazione prospettando al paziente l'esigenza di sottoporsi ad altri accertamenti. Una volta provato il nesso fra condotta del professionista e il danno al paziente, secondo il criterio del più probabile che non, i sanitari e la struttura avrebbero dovuto dimostrare che l'inadempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile e inevitabile secondo l'ordinaria diligenza.
L'obbligo del sindaco di controllare la gestione della società. Il commercialista sindaco della società risarcisce la curatela perché la srl fallita evadeva il fisco. E ciò perché, evidenzia l'ordinanza 11884 della Cassazione civile del 18/6/2020, non ha impedito agli amministratori di distrarre i fondi dalle casse della società invece di pagare le imposte. Troppo eclatanti le violazioni degli organi di gestione per non essere rilevate dal collegio dei controllori, specialmente quando dai bilanci approvati emerge che la società finita in default si accollava passività di altre compagini del gruppo. E per il presidente del collegio la condotta risulta ancora “più riprovevole” in quanto il professionista è il commercialista di fiducia dell'impresa: si trova dunque in conflitto d'interessi con la carica formale di capo dei controllori. Inutile allora per il professionista tentare di scorporare la quota di danno relativa all'esercizio in cui si era già dimesso dalla carica di sindaco: le condotte di omesso controllo risalgono a fatti cristallizzati durante gli esercizi precedenti che si ripercuotono sul bilancio incriminato.
I compiti di sorveglianza nella realizzazione del progetto. Ce n'è anche per le professioni tecniche: il direttore dei lavori risarcisce perché non sorveglia l'appaltatore nella realizzazione del progetto. Il professionista che è anche progettista dell'opera, spiega l'ordinanza 27045 della Cassazione civile del 18/10/2024, risponde per la mancata verifica del lavoro quando emergono vizi nell'esecuzione, ad esempio le infiltrazioni all'interno dell'immobile per la posa scorretta delle tegole che costituiscono il manto di copertura del fabbricato. Il direttore dei lavori deve accertare che la progressiva realizzazione dell'opera rispetti il progetto e che l'esecuzione avvenga in modalità conforme al capitolato d'appalto e alle regole della tecnica. Insomma: è tenuto ad adottare tutti gli accorgimenti tecnici necessari a garantire che l'opera sia realizzata senza difetti di costruzione. E dunque risulta responsabile il professionista che non vigila né impartisce le opportune disposizioni in materia e manca di controllarne l'ottemperanza da parte dell'appaltatore senza riferirlo al committente. L'intervento specifico è portato a termine in maniera non conforme al progetto redatto dallo stesso architetto oltre che alle regole della buona tecnica.
Il rapporto di natura personale con il cliente. Non risarcisce gli ex soci il professionista che porta via i clienti allo studio in cui lavorava. L'associazione professionale, ricorda l'ordinanza 6127 della Cassazione civile del 7/3/2024, non è un'impresa, mentre la concorrenza sleale delineata dall'articolo 2598 Cc presuppone l'esistenza di un rapporto commerciale: il rapporto fra professionista e assistito, invece, risulta fondato sulla stima personale e il cliente deve ritenersi libero di seguire il commercialista o l'avvocato di cui ha più fiducia quando l'interessato lascia lo studio. Non è concepibile l'assimilazione con i rapporti commerciali, nei quali la concorrenza si basa su prezzi e criteri di qualità effettivamente comparabili. Pesa l'atto di costituzione dell'associazione professionale: vi sono indicate le classiche attività svolte da commercialisti e ragionieri mentre, non emerge l'esercizio di un'attività d'impresa. Il rapporto fra professionista e cliente si svolge su base personale: l'ordinamento non prevede il divieto di concorrenze per l'associato che lascia lo studio ma consente che siano i partecipanti all'associazione a poterlo prevedere con clausole ad hoc. Non risulta fornita, nel caso specifico, la dimostrazione di uno sviamento della clientela né altre condotte illecite compiute dal professionista nei confronti degli ex soci. La concorrenza sleale, in particolare, è esclusa perché all'associazione professionale manca il requisito soggettivo della qualità di imprenditore.
La necessità di segnalare alle autorità condotte anomale degli assistiti. Il professionista, infine, deve tenere d'occhio le condotte anomale degli assistiti. Il commercialista è multato se non segnala a Bankitalia il cliente che usa il cash in modo irregolare. La sanzione amministrativa, evidenzia la sentenza 2129 della Cassazione civile del 22/1/2024, scatta perché il consulente che tiene la contabilità dell'azienda risulta tenuto a riferire all'Uif dei prelievi abnormi effettuati dai propri conti bancari: l'autorità amministrativa deve essere messa in condizioni di verificare se la condotta abnorme sia finalizzata a eludere la normativa antiriciclaggio e, dal 2008 in poi, a utilizzare il sistema finanziario per ripulire denaro in favore di mafie e organizzazioni terroristiche.