Taiwan vuole usare i semiconduttori e l’intreccio delle relazioni internazionali come scudo contro una possibile invasione da parte della Cina. L’esercitazione militare effettuata dalla Repubblica popolare cinese il 14 ottobre denominata Joint Sword – 2024B ha allertato la comunità internazionale, visto l’attuale scenario geopolitico, ma c’è da dire che è dal 2018 che il Dragone conduce azioni attorno a Taiwan, per mettere sotto pressione il governo e le rivendicazioni di indipendenza fatte dall’isola.
“Arruolare” almeno 10mila nuovi professionisti stranieri
Da parte sua Taiwan sta studiando quello che viene chiamato, da molti accademici, uno «scudo 2.0» dove i pilastri sono i semi conduttori e le relazioni internazionali con i paesi occidentali. Non è dunque un caso che a novembre partirà il nuovo programma sui nomadi digitali, che punta ad attirare almeno 10 mila nuovi professionisti stranieri entro il 2028, e la misura per concedere permessi di lavoro ai laureati che provengono dalle migliori università, tipicamente localizzate negli Stati Uniti e nel Regno Unito.
L’obiettivo «è tessere relazioni sempre più strette con l’occidente e aumentare l’interdipendenza con questi paesi per creare un blocco a favore di Taiwan, in caso di invasione da parte della Cina», spiega Zeno Leoni, professore presso il dipartimento di Studi sulla difesa del King’s Collage di Londra. Operazione di consolidamento internazionale necessaria visto che i paesi che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche con Taiwan sono solo 12 e tra questi non se ne trova neanche uno occidentale, fatta eccezione per Città del Vaticano (Belize, Guatemala, Haiti, Isole Marshall, Palau, Paraguay, Saint Kitts e Nevis, Santa Lucia, San Vincent e Grenadine, ESwatini e Tuvalu).
Il soft power di Taiwan
Niente è fatto per caso- Mettere in atto politiche per attrarre cervelli occidentali, in questo momento storico, non è un caso. «La posizione ambigua della Cina, sulla questione Ucraino – russa, sta facendo percepire il Dragone in maniera sempre più negativa da parte dell’occidente, facendo aumentare, di conseguenza, il soft power di Taiwan, che sfrutta il momento per spingere sulla costruzione di rapporti e relazioni con l’occidente», spiega Leoni. Una strategia su cui si sta discutendo internamente, per esempio, è la possibilità di aprire delle fabbriche di produzione di semiconduttori in Germania, o altri paesi dell’Unione europea. Questo renderebbe quasi automatico un intervento europeo in caso di invasione da parte della Cina. Programma che «è sicuramente più sensato rispetto al fare continue dichiarazioni da parte del governo», ma che non è priva di ostacoli, spiega Leoni. Da una parte questo è il momento perfetto per cercare di rinforzare i pilastri dello scudo 2.0., sfruttando il soft power di Taiwan verso i paesi occidentali, ma dall’altra «non ha un tempo infinito a sua disposizione». Secondo il professore del King’s College di Londra «Taiwan potrà rafforzare le relazioni solo fino a quando la Cina non deciderà di imporre delle nuove sanzioni, come è già avvenuto in passato contro la Lituania che aveva aperto una rappresentanza diplomatica sull’isola». Aspetto non sottovalutato, almeno per il momento, dai paesi occidentali, visto che le «relazioni con la Cina sono più complesse che mai e possibili sanzioni potrebbero creare molteplici problemi, vista l’interconnessione con le catene di approvvigionamento».
I semiconduttori, il nuovo petrolio
Taiwan si è affermata come il principale produttore mondiale di chip, e ospita le fabbriche più avanzate al mondo. Nel dettaglio, l’isola produce più del 60% dei semiconduttori in circolazione e quasi il 90% di quelli più sofisticati. Chip che tengono in vita tutto quello che usiamo, dai cellulari fino ai frigoriferi smart, passando per i computer e le tecnologie più avanzate come l’intelligenza artificiale. Taiwan controllando dunque il mercato dei semiconduttori è di strategico interesse per i paesi occidentali. In questa dinamica ci sono però due aspetti da considerare. Il primo è che l’occidente sta cercando di tagliare il cordone ombelicale con l’isola con «gli Usa che hanno fatto un’alleanza con Olanda e Giappone, sui semiconduttori», spiega Leone e l’Unione europea che ha dato il via al regolamento, entrato in vigore a fine 2023, sui chip con l’obiettivo di rafforzare la competitività dell’Ue. Secondo aspetto, l’acqua. La produzione dei chip è un processo che ne richiede un alto consumo e il The Diplomat, stima che tra il 2030 e il 2040 il 40% delle fabbriche di chip, oggi in funzione, localizzate per la maggior parte a Taiwan, si troveranno in aree dove il rischio di stress idrico sarà altissimo. La siccità dell’isola potrebbe dunque mettere a repentaglio, nel lungo periodo, l’espansione del settore dei semiconduttori e dunque la forza dello scudo 2.0 di Taiwan.