I marchi risollevano la testa
I marchi risollevano la testa
MMF/ Esperti a confronto sul futuro dei marchi. Ripartendo dall’individualità dei clienti. Le aziende rilevanti penetrano i loro mercati 5 volte di più

di di Marco A. Capisani  18/07/2024 02:00

La marca è viva nonostante le turbolenze sui mercati e nelle tasche dei consumatori. Anzi, la marca si moltiplica anche se l’aspetto più evidente per aziende, clienti e osservatori è che diventa sempre più difficile comunicarla e venderla. Di certo sono più diversificate le motivazioni e le occasioni di acquisto, le stesse aziende sono spesso costrette a investire meno sui brand mentre, in parallelo, il digitale continua la sua evoluzione in una società più virtuale. Ciò nonostante, un marchio «rilevante e distintivo rispetto alla concorrenza continua a fare la differenza e, a conferma, penetra il suo mercato 5 volte di più. Se successivamente s’innesca anche un meccanismo di notorietà, il percorso di crescita segue un’ulteriore accelerazione», ha dichiarato Federico Capeci, ceo della società specializzata in data management Kantar, che ha partecipato al workshop «Marketing A New Beginning: is the brand still important?» (la marca è ancora importante?), organizzato e condotto da Domenico Ioppolo, direttore scientifico del Milano Marketing Festival-MMF, come tappa d’avvicinamento all’edizione 2025 dell’evento organizzato da Class Editori.

{mfimage}

Così s’immagina il nuovo marketing

«Possiamo immaginare che incontreremo in futuro altre turbolenze, che la tecnologia riserverà ulteriori sorprese e, pur rimanendo ottimisti, avremo nuovi punti interrogativi aperti. Il suggerimento è, allora, ripartire dall’individualità del cliente», è intervenuto Waldemar Pfoertsch, senior marketing professor del Cyprus international institute of management. Passaggio implicito ma necessario di questo processo trasformativo, in particolare, «è aggiornare e capire cosa sia oggi la relazione col consumatore», secondo Fabio Ancarani, professor, Bologna Business School.«Se la marca cambia, e deve cambiare, succede come riflesso del legame che ha con la sua clientela, come conseguenza dell’aver condiviso valori che le permettono di differenziarsi non più grazie ai soli prodotti ma anche e soprattutto tramite servizi aggiuntivi. Di conseguenza, quando parliamo di relazione coi singoli clienti, si può usare l’espressione relazione con la propria comunità, costituita dai clienti di quel brand».

{mfimage}

Gli esempi sul mercato, dal beauty ai pannolini

A mò di esempi, c’è il settore della bellezza, ormai impegnato nello studio per esempio di tutti i tipi di pelle e che, oramai, ha detto Assunta Timpone, media director L’Oréal Italia, parla di «beauty per ognuno piuttosto che di beauty per tutti. Cambio di perifrasi che denota un’attenzione sostanziale e maggiore proprio verso la personalizzazione dell’offerta». Oppure ci sono il segmento degli assorbenti femminili, che condivide il suo impegno contro gli stereotipi di genere, e l’industria dei pannolini che si rivolge non solo ai neo-genitori ma pure a figli con genitori anziani. Nel dettaglio, «ascoltiamo le esigenze dei nostri stessi lavoratori proponendo formule di lavoro agile o di congedi perché il fattore tempo è emerso essere quello più difficile da gestire», ha proseguito Stefania Marinangeli, head of media and brand integrated communication Fater (che ha un portafoglio diversificato di brand tra cui quelli per la cura dell’infanzia e per l’igiene intima femminile). 

{mfimage}


Un futuro impegnativo ma con soluzioni chiare a disposizione?

Dipende, intanto «diventa fondamentale l’organizzazione aziendale. Senza una buona organizzazione aziendale anche i buoni propositi si bloccano», ha risposto Luca Vergani, ceo Wavemaker, agenzia media parte di GroupM. «Io vedo un buon volano di sviluppo nell’organizzazione a stella, con tutte le competenze aziendali riunite nel cuore della stella che si dipanano nelle varie declinazioni aziendali, attraverso progetti verticali».

Capovolgere le prospettive, a partire dalla fedeltà dei consumatori

In definitiva, ha riassunto Giorgio Santambrogio, a.d. del gruppo della distribuzione moderna VéGé, «è forse il caso di capovolgere le prospettive, fin qui utilizzate, se ci si vuole preparare al futuro. Allora iniziamo, per esempio, a parlare di customer loyalty ma non nel senso di fidelizzazione del consumatore verso un’azienda, bensì intesa come fedeltà che le aziende devono dimostrare al consumatore. Come? Partendo, tra l’altro, dal basso con una forza vendita che rappresenti un supporto in stile consulenziale per i clienti spiegando i prodotti, le loro differenze o educando a una corretta alimentazione. Ma la conferma arriva già oggi dalla marca del distributore, che non è solo un brand industriale ma si avvicina essa al cliente e ai suoi bisogni veicolando i valori dell’insegna che la mette a scaffale».

Riproduzione riservata