Fashion e ambiente, è stretta sulla moda usa e getta
Fashion e ambiente, è stretta sulla moda usa e getta
In partenza la fase operativa della strategia europea contro i beni tessili non sostenibili. In arrivo nuovi eco-obblighi per i produttori di abbigliamento

di di Vincenzo Dragani 27/10/2024 02:00

Lotta dal 2025 al mercato del “fast fashion”, che promuove capi d'abbigliamento economici, prodotti in veloce successione, usati brevemente e subito trasformati in rifiuti. Il contrasto alla "moda rapida" prende inizio con l'attivazione delle prime misure normative previste dalla più ampia "Strategia dell'Unione europea per prodotti tessili sostenibili e circolari". Strategia che promette di ridisegnare un settore di oltre 160 mila imprese, ed alla quale fanno eco le azioni nazionali. Con l'Italia in prima fila.

Il calendario europeo già definito prevede: dal gennaio 2025, l'obbligo (anticipato dall'Italia nel 2022) di effettuare la raccolta differenziata dei rifiuti tessili in tutti gli Stati Ue; dal luglio 2025, il graduale rilascio da parte dell'Ue delle regole per fabbricare in modo ecocompatibile determinate categorie di beni (tra cui i tessili); dal maggio 2026, regole più severe per esportare dall'Ue beni contrassegnati come "usati"; dal luglio 2026, il divieto di distruzione dell'abbigliamento invenduto. Ulteriori interventi normativi in corso di definizione introdurranno poi: la "responsabilità estesa dei produttori" di beni tessili, che dovranno gestire finanziariamente i relativi rifiuti (c.d. "Epr"); nuovi obiettivi e regole tecniche per il recupero efficace degli scarti del settore.

Il problema del “fast fashion”

A livello mondiale, secondo la Strategia Ue rilasciata nel marzo 2022, la produzione dei beni tessili è raddoppiata dal 2000 al 2015; con una previsione di aumento del consumo pari ad oltre il 60% entro il 2030 (da 62 a 102 milioni di tonnellate). Meno dell’1% dei rifiuti tessili viene riutilizzato in nuovi prodotti di categoria. A livello Ue, poi, il consumo di tessili è costituito per oltre l'80% da abbigliamento e provoca il terzo maggior impatto per uso di acqua e suolo, il quarto per cambiamenti climatici. Ogni anno 5,8 milioni di tonnellate di beni tessili (tra cui quelli invenduti) vengono conferiti come rifiuti; il 20% degli scarti tessili raccolti separatamente viene trasformato in materiali di valore inferiore (come panni per pulizia industriale); tutto il resto viene avviato a smaltimento, ma non sempre localmente: nel 2020, sono state esportati dall'Ue 1,4 milioni di tonnellate di rifiuti tessili.

Principale causa di tale impatto negativo è, per la Strategia Ue, il modello di produzione e consumo dell'abbigliamento citato come "fast fashion". Caratterizzato da elementi quali: rapidità di progettazione, fabbricazione e immissione sul mercato di capi spesso ispirati alle ultime tendenze della moda (per rispondere subito alle richieste dei consumatori); realizzazione con materiali economici, vendita a basso costo, brevità del ciclo di vita (elementi che aumentano la frequenza di dismissione dei vecchi per l'acquisto di nuovi beni).

La raccolta differenziata

In ordine temporale, la prima azione della Strategia Ue coincide con la raccolta differenziata dei rifiuti tessili. Che in base alla riscritta direttiva madre sui rifiuti (la 2008/98/Ce) dovrà entro il 1° gennaio 2025 essere istituita in tutti gli Stato Ue. Adempimento ampiamente anticipato dall'Italia, che mediante il Codice ambientale (Dlgs 152/2006, sul punto aggiornato dal decreto 116/2020) ha fatto scattare l'obbligo nel lontano 2022. Ad oggi, risultano altresì aver già adottato, o pianificato di introdurre, la raccolta obbligatoria dei rifiuti tessili Francia, Germania, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia.

L'ecoprogettazione

A seguire, sulla base del nuovo regolamento 2024/1781/Ue sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti, dal 19 luglio 2025 l’Ue inizierà a dettare standard da osservare obbligatoriamente per la fabbricazione di determinate categorie di beni. Le specifiche tecniche per i prodotti tessili avranno la finalità sia di prolungarne la vita che di recuperarli efficacemente alla fine. Le regole tecniche stabiliranno, in primo luogo, dei requisiti minimi di qualità costruttiva (in termini di solidità dei colori, resistenza alla lacerazione, tenuta di cerniere e cuciture), per aumentarne la durabilità. E, in secondo luogo, stabiliranno la composizione in termini di materiali e loro mischie, perché i rifiuti possano essere validamente processati per trarne nuovi beni. Gli eco-standard, emerge dalla Strategia Ue, saranno fondati sui parametri di sostenibilità già previsti per l’assegnazione del marchio ecologico Ecolabel ai beni tessili, così come su quelli che devono oggi essere soddisfatti per partecipare agli appalti pubblici di settore (cd. “criteri ambientali minimi” o “Cam”).

I limiti all’export

In forza del nuovo regolamento 2024/1157/Ue sulle spedizioni di rifiuti, dal 21 maggio 2026 cambieranno le condizioni per poter legittimamene esportare fuori dall’Ue beni “di seconda mano”. Gli operatori dovranno preventivamente dimostrare, per non essere obbligati a gestire tali beni come rifiuti: certezza del loro futuro e ulteriore utilizzo; assenza della necessità di “pretrattamenti significativi”; piena funzionalità; rispetto dei requisiti di prodotto; protezione dell’ambiente e salute umana; conservazione durante carico, trasporto e scarico.

Il divieto di distruzione dell'invenduto

Per fronteggiare il fenomeno, dettato da ragioni economiche, dell’avvio a smaltimento dei beni rimasti in magazzino, il regolamento sull'ecodesign vieterà a partire dal 19 luglio 2026 la distruzione di articoli di abbigliamento, accessori e calzature invenduti. Il divieto riguarderà sia il danneggiamento intenzionale che il disfarsi di prodotti invenduti senza destinarli a percorsi di recupero. Con la previsione, però, di deroghe al 2030 per le piccole e medie imprese, e l'esenzione totale per le microimprese.

L'Epr

Dall’inglese Extended producer responsibility, è il principio di derivazione europea che attribuisce ai produttori la responsabilità finanziaria e operativa dell'intero ciclo di vita dei beni commercializzati, compresa la fase della loro gestione una volta diventati rifiuti. A livello italiano già vigono sistemi "Epr" per le seguenti categorie: apparecchiature elettriche ed elettroniche (c.d. Aee); imballaggi; oli vegetali ed animali; pile; pneumatici; beni in polietilene. L’istituzione dell’“Epr” per i prodotti tessili è oggetto di una direttiva Ue in corso di definizione. I prodotti interessati saranno articoli e complementi di abbigliamento, accessori per la casa (dalle coperte alla biancheria da letto e tavoli, passando dalle tende), calzature anche non tessili. A rispondere dell’intero ciclo di vita saranno fabbricanti, importatori e distributori. Anche sul punto l'Italia si è portata avanti, con la predisposizione già nel 2022 di un primo schema di decreto ministeriale (ad oggi ancora in cantiere) che declina sui prodotti tessili le più generali regole "Epr" del Codice ambientale. In particolare, lo schema di decreto prevede l'obbligo per i produttori di beni tessili (in forma individuale o collettiva) di: sviluppare un sistema di progettazione sostenibile; commercializzare prodotti tessili idonei a riutilizzo, riparazione e recupero; realizzare una rete capillare di raccolta rifiuti su tutto il territorio nazionale (anche mediante propri punti vendita); garantire il ritiro gratuito "uno contro uno" dei rifiuti all’atto della vendita di prodotti equivalenti; raggiungere specifiche percentuali minime di recupero.

Il recupero dei rifiuti

Gli obiettivi minimi di recupero dei rifiuti tessili arriveranno (sempre in base alla riformulata direttiva 2008/98/Ue sui rifiuti) dall'Ue. Dal legislatore nazionale è invece atteso il provvedimento ad hoc per accelerare la "cessazione della qualifica di rifiuto" degli scarti tessili (c.d. "End of waste"). In base al relativo schema di regolamento ministeriale all’esame delle Istituzioni, i rifiuti ammissibili a tale percorso di recupero saranno solo quelli oggetto di raccolta differenziata, e coincidenti con i seguenti: rifiuti da materiali compositi (fibre impregnate, elastomeri, plastomeri); da fibre tessili grezze e lavorate; rifiuti non altrimenti specificati provenienti da indumenti e manufatti tessili invenduti oppure da veicoli fuori uso; abbigliamento e prodotti tessili non idonei alla preparazione per il riutilizzo. Le fibre tessili recuperate dovranno rispettare specifici parametri biologici ed essere conformi alla normativa europea sul controllo delle sostanze pericolose.

Riproduzione riservata