L’intelligenza artificiale è poco vivace nel nostro Paese. Secondo l’Ai index report, pubblicato dall’università di Stanford, il totale degli investimenti privati indirizzati all’intelligenza artificiale (Ia) in Italia sono stati pari a 58,9 milioni di dollari (55,7 milioni di euro). Un dato che dovrebbe far riflettere se si pensa che in Francia si è arrivati a quota 1,7 miliardi, in Germania 1,9 miliardi e in Spagna 362 milioni. A livello Ue (compreso il Regno Unito) gli investimenti sono invece stati pari a 11,7 miliardi di dollari. Un dato che rappresenta una goccia in mezzo al mare, se confrontato con gli Usa, dove gli investimenti hanno raggiunto i 67,2 miliardi di dollari, ma che se paragonati alla Cina ci fanno quasi emergere in positivo dato che nel 2023 gli investimenti privati nel Dragone sono stati pari a soli 7,76 miliardi (da sottolineare come nella classifica generale che vede sommati agli investimenti anche la dinamicità a livello di ricerca e sviluppo, politiche, infrastrutture ed educazione, la Cina è al secondo posto, dietro gli Usa).
L’aspetto negativo per l’Ue è che però c’è stato un calo negli investimenti nell’ultimo anno del 14,1%, rispetto al 2022. Dall’altra parte, invece, gli Usa hanno spinto sull’acceleratore facendo registrare un aumento del 22,1% nello stesso arco temporale. Parliamo dunque di un divario in termini di investimenti, pari a 55 miliardi di dollari. Un gap che potrebbe aumentare visto che nel corso della campagna elettorale Donald Trump aveva espresso l’intenzione di mantenere gli Usa al vertice dell’innovazione tecnologica, considerando l’intelligenza artificiale fondamentale per la competitività economica e la sicurezza nazionale del Paese. Secondo diversi analisti è infatti estremamente probabile che il Tycoon faccia sviluppare diversi progetti, nel campo dell’Ia, all’interno del dipartimento della Difesa. Dinamica che potrebbe favorire i gioiellini tecnologici a stelle e strisce come Microsoft, Google e Amazon, offrendogli la possibilità di crescere e svilupparsi sempre di più nel settore.
Al binomio Trump- intelligenza artificiale, si aggiunge poi la variante Musk, che da sempre è un sostenitore di un intervento minimo del governo nel mondo dell’Ia. Approccio che contrasta con l’attuale amministrazione Biden-Harris che invece hanno da sempre cercato di bilanciare l’avanzamento tecnologico con la sicurezza. Non a caso Biden ha dato il via ad un ordine esecutivo per garantire lo sviluppo sicuro e affidabile dell’intelligenza artificiale, affrontando temi come la privacy e l’equità. Trump è invece di altro avviso, tanto che ha espresso la volontà di voler abrogare l’ordine esecutivo perché “ostacola l’innovazione”. Il divario di 55 miliardi con l’Ue è dunque destinato inevitabilmente ad ampliarsi.
Unione europea divisa nelle sfide cruciali
Nel rapporto Draghi sul “rapporto sul futuro della competitività europea” lo sviluppo dell’Ia fa parte delle tre aree principali di intervento: “l'intelligenza artificiale offre all'Unione un’occasione importante per correggere i suoi fallimenti in termini di innovazione e produttività (solo 4 delle prime 50 aziende tecnologiche al mondo sono europee) e ripristinare il proprio potenziale manifatturiero”, sottolinea il report. Nella corsa ai chip, si stima che l’addestramento dei sistemi di intelligenza artificiale di nuova generazione, potrebbe costare fino a 1 miliardo di dollari e raggiungere i 10 miliardi di dollari entro la fine del decennio. Allo stesso tempo, l’implementazione dell’Ia richiederà connessioni più veloci, a bassa latenza e più sicure, ma la frammentazione del mercato europeo rende i costi fissi di investimento nelle reti più onerosi per gli operatori dell’Ue rispetto alle aziende su scala continentale negli Stati Uniti o in Cina. E dunque, si parla di svariati miliardi di euro di investimenti da fare se si vuole cercare di stare dietro agli Usa.
I problemi però in Ue sono due. Il primo è che i vari paesi si stanno muovendo in ordine sparso, anche in base alle diverse capacità di fare spesa (oltre che alla possibilità di fare debito). E dunque abbiamo Francia e Germania che nella classifica di Stanford, sulla vivacità dell’Ia, si posizionano nelle prime 10 nazioni al mondo, contro l’Italia che è invece in 22° posizione (su 36 paesi). Dietro di noi, a livello Ue, solo Austria, Polonia e Irlanda. Secondo aspetto, la non volontà dei paesi del nord Europa di fare debito comune con gli altri. L’esperienza del Next Generation Eu, per loro, ha rappresentato un’eccezione. Di Eurobond, come richiesto più volte da Macron, Gentiloni (commissario affari Ue) e ieri anche dal nostro ministro degli esteri, Antonio Tajani non ne vogliono sentir parlare. Se questa continuerà dunque ad essere la politica dell’Ue e del blocco del nord è inevitabile che l’Unione europea perderà la sfida dell’innovazione con gli Usa e la Cina. Anche perché singolarmente nessuno stato membro può pensare di porsi come competitor verso questi due colossi.
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