Arriverà in aula in Senato il 26 novembre la legge che delega il governo (ddl As 915) a riformare entro 12 mesi l'accesso alla facoltà di medicina, oltre a odontoiatria e veterinaria. Ottenuto il via libera dalla Commissione Cultura, dopo quello della Commissione Bilancio, il provvedimento passerà così all'esame dell'assemblea del Senato tra un mese: i senatori avranno tempo fino al 21 novembre per presentare gli emendamenti.
I decreti attuativi
Il lavoro proseguirà poi con i decreti attuativi, a cui sono demandate questioni rimaste aperte. Il presidente della Commissione Istruzione Roberto Marti (Lega):«su alcuni aspetti di cui ad avviso dei gruppi di opposizione non si è adeguatamente tenuto conto», ricorda che «sarà centrale il ruolo di impulso, sostegno e controllo che il Parlamento, e nello specifico le Commissioni di merito, potranno svolgere nella fase di attuazione della legge». Le questioni aperte che hanno animato il dibattito i giorni scorsi nelle Commissioni sono: ruolo delle università telematiche nel primo semestre, neutralità finanziaria del provvedimento, meccanismo individuato per la formazione della graduatoria nazionale per l'accesso definito a medicina dopo il primo semestre libero.
Test dopo 6 mesi
La riforma, infatti, prevede che ci si possa iscrivere a medicina liberamente senza test o selezione in ingresso e che dopo i primi 6 mesi una graduatoria nazionale stabilisca chi potrà proseguire il percorso verso la laurea e chi non potrà. Insomma, un numero chiuso rinviato di 6 mesi. Il rischio è che comporti un accesso potenziale di 60.000 studenti, 40.000 in più della quota attuale, limitata dal test d'ingresso. Di qui la domanda di alcun senatori, tra cui Elisa Pirro (M5s), su «come il sistema universitario possa reggere a un tale incremento di studenti, nell'ordine del triplo della situazione attuale, senza costi aggiuntivi, esprimendo perplessità sulle valutazioni compiute al riguardo dalla Ragioneria generale dello Stato». Di fronte, a un significativo incremento delle iscrizioni nel primo semestre, l'organico docente attualmente disponibile sarebbe insufficiente.
Le rassicurazioni di Freni
Dal sottosegretario al Mef Federico Freni, tuttavia, sono arrivate diverse rassicurazioni sulla «ragionevole certezza dell'assenza di oneri» per lo Stato. «L'impatto della nuova disciplina è stato valutato secondo un criterio statistico, che», spiega,«tiene conto anche di vicende analoghe», come quanto accaduto nella facoltà di giurisprudenza tra la fine degli anni Novanta e l'inizio degli anni Duemila, «che conferma la sostenibilità delle misure recate dal provvedimento». Il consistente aumento degli iscritti al primo semestre inoltre, per Pd e M5s potrebbe indurre a giustificare il ricorso alle università telematiche, che non sono in grado a loro avviso di fornire garanzie sulla qualità della didattica.
Il nodo telematiche
Di qui alcuni emendamenti che escludono gli atenei telematici presentati in Commissione Istruzione, prima accantonati e dopo bocciati in seguito alle rassicurazioni della sottosegretaria ai rapporti con il Parlamento Matilde Siracusano: non è necessario, spiega, «vietare, con norma di rango primario, alle università telematiche di svolgere o somministrare corsi di studio di area biomedica, sanitaria, farmaceutica e veterinaria, tenuto conto che questa facoltà non è ad oggi riconosciuta dall'ordinamento vigente. Non si tratta di una scelta politica, bensì di una questione tecnica, attesa la condivisione circa l'inopportunità di consentire, con il provvedimento in esame, alle università telematiche di impartire corsi di studio in area biomedica».
Solo attraverso l'introduzione di una norma di legge, «si può essere certi che lo svolgimento di attività didattiche nelle materie in discussione non venga affidato alle università telematiche», ribatte Francesco Verducci (Pd), ricordando che uno degli emendamenti, «senza richiamare esplicitamente le università telematiche, disponeva che le università che impartiscono corsi universitari in area sanitaria soddisfino i requisiti previsti per l'accreditamento a livello europeo e internazionale».
Quale selezione dopo 6 mesi?
Altra criticità emersa è la mancata previsione di un meccanismo che consenta un'efficace selezione al termine del semestre comune per la formazione della graduatoria nazionale. L'unico criterio che rimarrebbe sarebbe quello del risultato conseguito negli esami, che prevede un punteggio variabile da 18 a 30 punti, e dei crediti formativi (Cfu). Anche se tra gli emendamenti approvati uno di Marti prevede non solo l'accesso al primo semestre sia libero, ma che si individuino anche «criteri di sostenibilità per l'iscrizione al primo semestre dei corsi di laurea che siano commisurati alla disponibilità dei posti dichiarata dalle università». Come a prevedere criteri che limitino l'accesso alla facoltà già al momento dell'iscrizione, se necessario in base ai posti disponibili nelle università.
Tolc, la sentenza Consiglio di Stato
D'altra parte, la recente sentenza con cui il Consiglio di Stato ha dichiarato legittimità ed efficacia dello strumento del Tolc Med 2023 nella selezione dei candidati a medicina lascia aperta la possibilità che si possa reintrodurre questo tipo di selezione per la formazione delle graduatoria o attraverso un emendamento alla legge delega in aula al Senato o, in seguito, con un decreto attuativo della riforma. Una volta approvato il provvedimento, infatti, il governo avrà un anno di tempo per definire molti aspetti della riforma attraverso decreti attuativi scritti dai ministeri dell'università e della salute, sentito il Mef, e per emanarli dopo i pareri della Conferenza Unificata e, entro 30 giorni, delle 2 commissioni competenti di Camera e Senato.
I dubbi sui tempi
Un cammino ancora lungo, quindi, per la riforma dell'accesso a medicina. Tanto che, anche se il Senato approvasse la legge delega entro fine anno, i tempi per l'entrata in vigore dal prossimo anno accademico 2025/26 appaiono strettissimi. Si pensi, ad esempio, al lavoro che richiedono i decreti legislativi che individueranno le discipline qualificanti comuni oggetto di insegnamento nel primo semestre dei corsi di studio di area biomedica, sanitaria, farmaceutica e veterinaria, garantendo programmi uniformi e coordinati e l'armonizzazione dei piani di studio di questi stessi corsi, per un numero complessivo di crediti formativi universitari (Cfu) stabilito a livello nazionale.
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