Sostenibilità ambientale Ue imposta per decreto
Sostenibilità ambientale Ue imposta per decreto
Le filiere produttive dell’agroalimentare e dell’energia, per accedere ai fondi pubblici e ai capitali d’investimento privati potrebbero a breve essere chiamate a rispettare vincoli così stringenti da renderle non più competitive con le imprese extra-Ue

di di Luigi Chiarello 03/12/2020 07:09

Più che una transizione delle attività produttive verso una maggiore sostenibilità ambientale, quella che si sta profilando nelle proposte della commissione europea appare come un'imposizione ambientale. In primis per le filiere produttive dell'agroalimentare e dell'energia, che per accedere ai fondi pubblici e ai capitali d'investimento privati potrebbero a breve essere chiamate a rispettare vincoli così stringenti da renderle non più competitive con le imprese extra-Ue. Già perché, con uno schema di provvedimento posto in consultazione in questi giorni (si veda ItaliaOggi di ieri), la Commissione europea ha chiamato gli stakeholders a pronunciarsi sull'attuazione concreta dei principi di tassonomia contenuti nel regolamento Ue n. 353, varato nel giugno scorso, per la realizzazione di una «finanza sostenibile» nell'Unione. In pratica, tutte le componenti delle filiere produttive e gli stati membri dell'Ue devono decidere se recepire sic et simpliciter o meno, regole e paletti in base a cui valutare cosa finanziare e cosa meno nel tempo, attraverso parametri ambientali, sociali e di governance da implementare nei rispettivi processi decisionali. Nelle intenzioni della commissione Ue, quest'obbligo scatterà attraverso l'adozione di un atto delegato, che cala nel concreto i nuovi comandamenti della sostenibilità enunciati nel regolamento n. 353. Atto che, in base alle intenzioni di Bruxelles, andrebbe recepito entro fine anno; i tempi di adozione, però, si sono allungati a causa delle consultazioni. Attenzione: va ricordato che un atto delegato, a differenza di una direttiva o di un regolamento Ue, una volta approvato diventa applicativo nello stato membro. Non necessita di recepimento, mediante dlgs. In sostanza, una volta che l'atto delegato sarà varato, la commissione Ue avrà imposto a fondi di investimento, banche e assicurazioni vincoli di sostenibilità da integrare ai loro processi di valutazione, mediante cui decidere quali imprese agroalimentari ed energetiche finanziare; poi, in linea con la strategia Farm to fork e col Green new deal, Bruxelles potrà far leva sulla nuova tassonomia finanziaria per fissare i parametri su cui impostare le regole di aiuto dei futuri piani di sviluppo rurale e della prossima politica agricola comune. Nel frattempo, la commissione Ue intende utilizzare la nuova tassonomia per filtrare le iniziative da sostenere col piano InvestEu e potrebbe far ricorso ad essa per decidere quali progetti sostenere col Recovery Fund. Da tutta questa partita, quindi, resta parzialmente fuori l'Europarlamento, che può toccare palla sul varo degli atti delegati, solamente con potere di veto, esprimendo per due volte parere contrario. Senza possibilità di emendarli. Persino il trilogo (tavolo permanente di conciliazione tra commissione, Europarlamento e consiglio Ue) non ha voce in capitolo sulla messa a terra della nuova tassonomia. Morale: una volta superato il vaglio degli eurodeputati, l'unica possibilità di bloccare l'atto delegato sarà la costituzione di una maggioranza contraria al provvedimento, in seno al Consiglio. Luogo di espressione dei singoli stati membri e dove, peraltro, si potrebbero saldare, per una sorta di eterogenesi dei fini, i comuni interessi a favore di una transizione morbida verso la sostenibilità dei comparti agricolo ed energetico. La tassonomia finanziaria, va ricordato, è stata introdotta per stimolare la community dei grandi investitori privati a dirottare i propri fondi su attività a ridotto impatto climatico. Ha una base giuridica diversa rispetto alla Pac, ma potrebbe condizionarne pesantemente l'esito.

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