Reati tributari nella responsabilità di impresa
Reati tributari nella responsabilità di impresa
Arriva un nuovo monito all’Italia affinché estenda ai reati tributari la responsabilità degli enti ex dlgs.231/2001: questa volta proprio l’Europa ce lo chiede per contrastare efficacemente il delitto di riciclaggio

di di Stefano Loconte e Giulia Maria Mentasti 14/11/2019 08:09

Reati tributari nella responsabilità di impresa. Arriva un nuovo monito all'Italia affinché estenda ai reati tributari la responsabilità degli enti ex dlgs.231/2001: questa volta proprio l'Europa ce lo chiede per contrastare efficacemente il delitto di riciclaggio. A neanche un mese dalla pubblicazione in G.U. della legge di delegazione europea 2018, si è già al lavoro per la edizione 2019, con cui si conferirà delega al governo per il recepimento delle più recenti direttive europee. Tra le direttive prossime all'attuazione, spicca la 2018/1673 sulla lotta al riciclaggio mediante il diritto penale, che stabilisce norme minime relative alla definizione dei reati e alle sanzioni per combattere «una minaccia per il mercato interno e la sicurezza interna dell'Unione». In realtà, all'Italia manca ancora l'inclusione dei delitti fiscali tra i reati idonei a far scattare la responsabilità amministrativa da reato delle società ex dlgs. 231/2001, i cui proventi possono ben essere oggetto di condotte riciclatorie ed è pertanto necessario chiedere alle aziende un aggiornamento dei modelli di organizzazione e gestione in questa direzione. Ragione per cui si attende con ancor maggiore aspettativa la conversione del decreto fiscale pubblicato in Gazzetta lo scorso 28 ottobre: il decreto prevede infatti, conformandosi peraltro anche a un'altra direttiva europea, la cosiddetta Pif, in materia di tutela penale degli interessi finanziari dell'Unione europea, proprio tale ampliamento del catalogo dei reati presupposto, anche se limitatamente alle frodi fiscali mediante uso di fatture false. Per il resto, buone notizie: l'Italia è in linea con la direttiva europea. In primis sulla nozione stessa di riciclaggio: infatti la direttiva fornisce una definizione comune per tale reato, contemplando espressamente tra i delitti presupposto anche quelli fiscali; nulla di nuovo per il Bel Paese, dato che è ormai pacifico per la giurisprudenza della cassazione che anche i reati fiscali sono idonei a fungere da reato presupposto del riciclaggio, essendo provento anche il mero risparmio di imposta. Inoltre, l'Italia è sin dal 2015 rispettosa dell'invito a considerare reato anche l'autoriciclaggio, oltre che il riciclaggio, avendo dunque da tempo superato l'impostazione tradizionale di chi riteneva che le operazioni volte a ostacolare la provenienza delittuosa di proventi illeciti fossero «fisiologiche» da parte dell'autore del reato (già perseguibile per il reato presupposto) e quindi costituenti un cosiddetto post factum non punibile. Nessun problema neanche per la cornice edittale: se la direttiva, pur salvando la decisione del singolo stato di prevedere «sanzioni o misure aggiuntive», suggerisce la comminatoria di una pena detentiva massima non inferiore a quattro anni, il legislatore italiano attualmente prevede addirittura come sanzione massima dodici anni di reclusione per il riciclaggio (art. 648-bis c.p.) e otto anni per l'autoriciclaggio (art. 648-ter.1 c.p.), oltre a pene pecuniarie. Ancora, la richiesta di congelamento e confisca dei beni strumentali e dei proventi è già prevista dall'art. 648-quater c.p., così come l'opportunità segnalata dalla direttiva di pene più severe per gli esercenti una attività professionale, considerato che tale aggravamento è nel nostro codice penale già contemplato espressamente sia per il riciclaggio che per l'autoriciclaggio dall'art. 648-bis , c. 2, c.p. e dall'art. art. 648-ter.1, c. 5, c.p.

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