Nelle assemblee di condominio contano gli intervenuti
Nelle assemblee di condominio contano gli intervenuti
Nelle decisioni assembleari non è possibile fare riferimento solo al valore millesimale. Lo ha precisato la Cassazione in merito al quorum necessario per deliberare, ribadendo che le maggioranze necessarie variano da materia a materia e sono fissate dalla legge

di di Gianfranco Di Rago 05/12/2022 07:53

Nelle decisioni assembleari il via libera è possibile solo se è d'accordo la maggioranza degli intervenuti alla riunione. Per la validità della deliberazione deve infatti tenersi conto sia del numero dei condomini partecipanti sia del valore millesimale del voto da questi espresso. Non è quindi possibile valorizzare soltanto i millesimi di proprietà, anche se essi risultino in maggioranza favorevoli all'adozione di una certa decisione. Il voto deve infatti corrispondere anche alla maggioranza degli intervenuti in assemblea, conteggiati per teste. Di conseguenza, nelle riunioni in seconda convocazione, alla luce di quanto disposto dalla riforma del 2012, perché l'assemblea sia regolarmente costituita necessita la presenza di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'edificio e un terzo dei partecipanti al condominio, ma il quorum deliberativo deve comunque sempre fare riferimento alla maggioranza degli intervenuti. Si tratta dell'ennesimo chiarimento della Suprema corte in materia di conteggio dei voti assembleari, contenuto nell'ordinanza n. 28629 pronunciata dalla sesta sezione civile lo scorso 3 ottobre 2022.

Il caso. Nella specie una condomina aveva impugnato una deliberazione assembleare assunta sulla base di una maggioranza calcolata sui soli millesimi di proprietà. La Corte di appello di L'Aquila, decidendo sulla questione, aveva ritenuto il motivo di impugnazione palesemente infondato, valutando che la regola posta dal terzo comma dell'art. 1136 c.c. (tra l'altro indicata dai giudici nella versione precedente alla riforma del 2012, nonostante la delibera impugnata risalisse al 2016), dovesse intendersi nel senso che coloro che abbiano votato contro l'approvazione non devono rappresentare un valore proprietario maggiore rispetto a coloro che abbiano votato a favore. Infatti, secondo i giudici di appello, “la disciplina dell'art. 1136 c.c. privilegia il criterio della maggioranza del valore dell'edificio, quale strumento coerente per soddisfare le esigenze condominiali”.

A fronte del ricorso in Cassazione da parte della condomina impugnante, il condominio controricorrente aveva quindi anche evidenziato come nella specie si dovesse tenere conto della peculiare costituzione della compagine condominiale, della quale facevano parte un numero pari di condomini, ossia quattro. In questo caso, secondo il condominio, la norma di legge impediva stabilmente la deliberazione dell'assemblea, poiché richiedeva la maggioranza degli intervenuti che, tuttavia, secondo il predetto condominio, in questi casi è impossibile che si formi in termini matematici.

L'adozione del principio maggioritario. In ambito condominiale opera il metodo collegiale e vige il principio maggioritario, la cui applicazione si rende necessaria per consentire al condominio di funzionare correttamente. La realtà di tutti i giorni insegna quanto sia difficile che una collettività, per quanto piccola, si trovi interamente d'accordo su una determinata decisione. Ancorare il funzionamento dell'assemblea al consenso unanime di tutti i condomini significherebbe esporre a serio rischio di paralisi la gestione del condominio, mettendo l'amministratore in condizione di non poter operare. Al contrario, l'adozione del principio maggioritario garantisce il contemperamento delle (spesso) opposte esigenze legate alla corretta gestione delle parti comuni e consente il raggiungimento di soluzioni largamente condivise.

Il carattere composito del voto. Il sistema di calcolo dei voti in condominio procede inoltre su una sorta di doppio binario. Infatti, il legislatore, per evitare situazioni di squilibrio nella gestione dei beni comuni, ha inteso introdurre un secondo criterio legato al valore delle singole unità immobiliari site nell'edificio condominiale, valore espresso in millesimi.

Ciascun voto corrisponde quindi a un determinato numero di millesimi. Il soggetto che sia proprietario e/o titolare di altro diritto reale su più unità immobiliari avrà diritto a un solo voto, ma vanterà un numero di millesimi pari al valore di tutti gli immobili che si trovano nella sua disponibilità. Il proprietario dell'attico e il condomino che abbia solo un piccolo box avranno entrambi diritto a un voto, ma la caratura millesimale di essi avrà naturalmente un peso molto diverso.

La formazione delle maggioranze. Il sistema misto previsto dal legislatore per il conteggio dei voti si può vedere all'opera in sede di determinazione delle maggioranze necessarie all'adozione delle deliberazioni assembleari, che variano da materia a materia e sono fissate dalla legge. È possibile che nell'ambito della stessa assemblea siano posti in discussione argomenti che necessitano di quorum deliberativi diversi.

Per decidere validamente su ogni questione posta all'ordine del giorno sarà quindi necessario raggiungere quel minimo di voti volta per volta indicato dalla legge in considerazione sia del numero di condomini favorevoli sia del prescritto valore millesimale.

La sola maggioranza per teste non sarà sufficiente ove la stessa non corrisponda anche alla maggioranza millesimale. Viceversa, come accaduto nel caso esaminato dalla Corte di cassazione, anche una notevole maggioranza millesimale è priva di valore, ove non corrisponda anche alla maggioranza per teste. Tutto ciò, come evidenziato, al fine di trovare un giusto equilibrio fra le diverse esigenze dei condomini. È, quindi, chiaro come la gestione del condominio si fondi su un complesso sistema di pesi e contrappesi.

La decisione della Suprema corte. Nel caso di specie la Cassazione ha quindi accolto il motivo di ricorso sollevato dalla condomina, evidenziando come anche nel caso in cui i partecipanti al condominio siano quattro, o comunque in numero pari, operano senza alcuna criticità le norme in tema di organizzazione e funzionamento dell'assemblea, restando agevolmente consentito il richiamo al principio di maggioranza assoluta sotto il profilo dell'elemento personale. In particolare, per il riscontro della maggioranza degli intervenuti di cui all'art. 1136 del codice civile, occorre che la deliberazione sia approvata almeno dalla metà più uno dei membri del collegio. Dunque, se gli intervenuti sono quattro, la delibera deve essere approvata da tre degli aventi diritto, e così sempre se gli intervenuti sono in numero pari.

La Suprema corte ha poi ricordato che la riforma della disciplina del condominio degli edifici del 2012 ha stabilito che l'intervento all'assemblea di tanti condomini che rappresentino almeno un terzo del valore dell'edificio e un terzo dei partecipanti al condominio è condizione per la regolare costituzione della riunione. Invece, proprio per facilitare la formazione della volontà collegiale, il quorum deliberativo deve sempre fare riferimento alla maggioranza degli intervenuti. La scelta del legislatore di rimettere a tale maggioranza l'approvazione delle deliberazioni dell'assemblea condominiale, secondo la Corte di cassazione, non è stata affatto irragionevole, né può considerarsi lesiva della proprietà privata, in quanto la soluzione sempre seguita dall'art. 1136 del codice civile è stata volta a contemperare le ragioni dei proprietari con la tutela delle volontà individuali dei condomini, che sarebbero altrimenti soverchiate nelle situazioni in cui vi è una evidente sproporzione dei valori millesimali spettanti ai singoli partecipanti.