Lavoro, negli ultimi dieci anni la propensione a mettersi in proprio è diminuita del 5%
Lavoro, negli ultimi dieci anni la propensione a mettersi in proprio è diminuita del 5%
L’analisi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro: con oltre 5 milioni di autonomi, l’Italia è il paese europeo con il più alto numero di occupati in proprio. L’incidenza sul totale degli occupati è la più alta anche fra i giovani. Ma mancano interventi di sostegno

13/11/2019 11:11

Con oltre 5 milioni di lavoratori autonomi, l’Italia è il paese europeo con il più alto numero di occupati in proprio. L’incidenza sul totale degli occupati è la più alta anche fra i giovani: su poco più di 4 milioni di occupati tra i 25 e i 34 anni, il 16,3% svolge un lavoro autonomo contro una media Ue del 9,4%. Ma negli ultimi dieci anni la propensione a “mettersi in proprio” è diminuita del 5,14%, anche per l’assenza di interventi a sostegno, ultima la legge di bilancio 2020 all’esame del parlamento.
È quanto emerge dall’analisi della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro, presentata oggi durante la Giornata delle Professioni Liberali.
Gli autonomi sono una platea di lavoratori mediamente più istruita dei dipendenti, specie tra i più giovani (il 37,2% degli autonomi è laureato rispetto al 27,9% dei dipendenti), e molto presente nel settore terziario, da sempre motore dell’economia del Paese. Dallo studio emerge inoltre che circa la metà degli occupati indipendenti in Italia sono collocati al vertice della piramide professionale: il 12,3% sono manager o titolari di aziende, il 20,4% professionisti ad alta qualificazione e il 17,1% figure tecniche.
Eppure la propensione a mettersi in proprio si riduce sempre di più. Fra il 2009 e il 2018, complici il calo demografico e le maggiori difficoltà di accesso al mercato del lavoro, gli autonomi sono diminuiti del 5,14%. “Le conseguenze sulla tenuta del sistema economico sono facilmente prevedibili se si considera che ad oggi professionisti, imprenditori, artigiani, ma anche consulenti e freelance, rider e lavoratori della gig economy costituiscono un universo ampio e estremamente articolato che contribuisce al 21,7% dell’occupazione del nostro Paese (a fronte di una media europea del 14,3%). Eppure continuano a mancare interventi sufficienti a sostegno dei tanti lavoratori autonomi italiani. Da ultimo il disegno di legge di Bilancio 2020 che sembra dimenticare l’apporto che il lavoro autonomo fornisce allo sviluppo del Paese”, sottolinea lo studio.
Nonostante ciò in tanti decidono di “mettersi in proprio”. Alla base di questa decisione, nel 39% dei casi, c’è l’“opportunità di fare business”, mentre nel 24,2% c’è la volontà di mantenere “in vita” l’attività di famiglia. Ma essere lavoratori autonomi è un’impresa non priva di ostacoli, nel Bel Paese più che altrove: 9 autonomi su 10 (89,9%) lamentano la presenza di notevoli difficoltà nello svolgimento del proprio lavoro: una condizione che in Europa interessa il 71,7% della platea. In testa alle criticità degli italiani spicca il carico burocratico (il 25,8% degli autonomi contro il 13,1% della media europea), seguito dall’instabilità degli incarichi e dei committenti (il 21,6% contro il 12,3% della media europea dichiara di dover affrontare periodi di non lavoro, perché senza progetti o clienti) e dal ritardo dei pagamenti (il 20,2% contro l’11,7%). Pesano, infine, anche la difficoltà di accesso ai finanziamenti, l’impossibilità di incidere sui prezzi di servizi e prodotti e la mancanza di coperture in caso di malattia o infortunio.
“La manovra 2020 dovrebbe essere l’occasione per incrementare il sostegno ai liberi professionisti - evidenzia Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro - attraverso la riduzione dei carichi fiscali, degli oneri burocratici, la promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e l’introduzione dell’equo compenso per garantire una retribuzione dignitosa anche a questa categoria professionale”.