Installazione dell’ascensore con iter semplificato
Installazione dell’ascensore con iter semplificato
I condomini interessati possono installare a proprie spese e senza l’autorizzazione assembleare l’impianto di ascensore nell’edificio che ne sia privo, anche se quest’ultimo non rispetta le misure minime previste dalla normativa sull’abbattimento delle barriere architettoniche

di di Gianfranco Di Rago 04/07/2022 07:56

I condomini interessati possono installare a proprie spese e senza l'autorizzazione assembleare l'impianto di ascensore nell'edificio che ne sia privo, anche se quest'ultimo non rispetta le misure minime previste dalla normativa sull'abbattimento delle barriere architettoniche e anche se ne deriva un disagio minimo nell'utilizzo delle scale. Questo quanto deciso dalla seconda sezione civile della Corte di cassazione, nella recente ordinanza n. 19087, dello scorso 14 giugno 2022, che rappresenta, per così dire, l'ultima frontiera in tema di liberalizzazione dell'uso delle parti comuni per la costruzione di un impianto di ascensore senza il via libera dell'assemblea condominiale.

Il caso. Alcuni condomini avevano agito in giudizio per sentire accertare il proprio diritto a installare a proprie spese un ascensore all'interno dell'edificio, realizzato nell'anno 1960, che ne era sprovvisto. Questi ultimi intendevano utilizzare allo scopo una parte delle aree comuni, ossia la tromba delle scale e una piccola porzione degli scalini, che avrebbero dovuto essere occupati con il vano dell'impianto. Si erano costituiti in giudizio gli altri condomini, eccependo che l'edificio difettava di uno spazio idoneo ad alloggiare l'ascensore all'interno del vano scala, poiché non vi era la tromba delle scale. I medesimi inoltre avevano rilevato che, a fronte di una larghezza delle scale di 1,20 metri, con il taglio parziale dei gradini si sarebbe realizzata una ulteriore riduzione dello spazio utile a deambulare. Era stato poi anche contestato il fatto che la cabina dell'ascensore avrebbe dovuto avere una profondità minima di 1,20 metri e una larghezza minima di 0,80 metri, ai sensi della legge n. 13/89 e del dm n. 236/89, dimensioni che non sarebbero state rispettate dall'opera avuta in mente dai condomini attori. Infine, era stato eccepito che l'installazione dell'ascensore avrebbe gravemente compromesso l'uso delle scale e della cabina a uno dei condomini, in ragione della sua grossa corporatura. Nel corso del giudizio era stata effettuata una consulenza tecnica d'ufficio sulle modalità di realizzazione dell'impianto e a seguito di essa il tribunale aveva autorizzato la realizzazione dell'impianto. La sentenza era stata confermata in appello.

L'evoluzione della giurisprudenza di legittimità. I giudici di legittimità negli ultimi anni si sono pronunciati sempre più spesso in merito all'installazione dell'impianto di ascensore con utilizzo delle parti comuni e, facendo leva sul disposto di cui all'art. 1102 c.c., sono giunti a inquadrare detto intervento come indispensabile ai fini dell'accessibilità dell'immobile e della reale ed effettiva abitabilità del medesimo. Con sentenza n. 20713/2017 è stato così precisato che l'installazione dell'ascensore nell'edificio che ne sia privo può essere effettuata anche da una parte dei condomini, a condizione che gli stessi ne sopportino per intero la relativa spesa. Tuttavia, gli altri condomini, ove in prosieguo intendano utilizzarlo a loro volta, saranno legittimati a farlo, ma saranno tenuti a rifondere ai primi una quota delle spese sostenute, opportunamente rivalutata, divenendo così a loro volta comproprietari dell'impianto. Con sentenza n. 7938/2017 è stato quindi ribadito come il tema dell'accessibilità degli edifici e dell'eliminazione delle barriere architettoniche costituisce espressione di un principio di solidarietà sociale e persegue finalità di carattere pubblicistico. Detto principio implica il contemperamento di vari interessi, tra i quali deve includersi anche quello delle persone disabili all'eliminazione delle barriere architettoniche, trattandosi di un diritto fondamentale che prescinde dall'effettiva utilizzazione, da parte di costoro, degli edifici e che conferisce comunque legittimità all'intervento innovativo, purché lo stesso sia idoneo, anche se non a eliminare del tutto, quantomeno ad attenuare le condizioni di disagio nella fruizione del bene primario dell'abitazione (si vedano anche le decisioni nn. 6129/2017 e 18334/2012). Del resto, nei casi in cui non debba procedersi a una ripartizione tra tutti i condomini della spesa di installazione dell'impianto, trova in ogni caso applicazione il ricordato art. 1102 c.c., in forza del quale ciascun partecipante può servirsi del bene comune, a condizione che non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri condomini di farne parimenti uso, apportandovi quindi a proprie spese le modificazioni necessarie per il suo miglior godimento (si vedano le decisioni nn. 16815/2022, 4439/2020, 25872/2010 e 24006/2004).

L'ultima decisione della Suprema corte. La Suprema corte, nel dare continuità all'orientamento teso a facilitare l'installazione degli impianti di ascensore negli edifici che ne siano privi, si è occupata in questo caso proprio di contemperare gli opposti interessi dei condomini favorevoli alla realizzazione dell'impianto e di quelli che, viceversa, si lamentavano delle ricadute di tale intervento sulla fruibilità delle parti comuni. La larghezza delle scale si sarebbe, infatti, ridotta a 77 centimetri, al netto del corrimano, per tutte le rampe, e addirittura a 74 centimetri per la prima rampa, così impedendo il passaggio contemporaneo di due persone e il passaggio orizzontale di una barella, in spregio alla obbligatorietà della larghezza minima delle scale comuni di almeno 120 centimetri. I condomini contrari all'intervento avevano anche obiettato che l'ascensore avrebbe avuto una cabina di soli 58 centimetri, contro la prescrizione normativa minima di 80 centimetri, con la conseguenza che il relativo uso sarebbe stato limitato alle persone normodotate e di medio-piccola corporatura, dovendosi tra l'altro rilevare che, come riportato dal consulente tecnico d'ufficio, all'interno della cabina avrebbe potuto accedere solo un portatore di handicap in grado di alzarsi dalla carrozzina, ma non certamente anche la carrozzina stessa.

La Cassazione si è quindi richiamata alle valutazioni di merito condotte dai giudici di appello. Nel caso di specie è evidente che era di fatto impossibile contemperare gli opposti interessi, poiché, a fronte dell'installazione di un ascensore, sia pure di dimensioni estremamente ridotte e non in grado di rimuovere in modo completo le barriere architettoniche, sarebbe stato indispensabile ridurre sensibilmente la larghezza delle scale, e viceversa, ove si fosse inteso conservare quest'ultima, sarebbe stato inevitabile rinunciare all'impianto. Che fare? Secondo i giudici di merito, considerate le abitudini di vita e le esigenze degli abitanti delle grandi città, nonché le attuali caratteristiche della popolazione italiana, composta in misura di gran lunga prevalente da persone non giovani, il sacrificio minore si sarebbe realizzato proprio incidendo sulla larghezza delle scale. A orientare nel senso della prevalenza del vantaggio connesso all'installazione dell'ascensore erano poi state le fotografie dell'edificio gemello a quello in cui abitavano i contendenti, nel quale era stato già installato un impianto di ascensore identico a quello di cui al progetto, ricavandosi da tali riproduzioni fotografiche che la posizione del vano ascensore avrebbe implicato un disagio veramente minimo nell'uso quotidiano della scala, tanto che una persona di corporatura media avrebbe potuto affrontarle con normale facilità, pur rimanendo precluso il contemporaneo passaggio di due persone, con la conseguenza che la limitata lunghezza delle rampe e le buone condizioni di luminosità, anche in presenza dell'ascensore, avrebbero ridotto al minimo il disagio che la riduzione dei gradini avrebbe comportato. La Suprema corte a questo proposito ha ricordato come il concetto di inservibilità del bene comune non può consistere nel semplice disagio subito rispetto alla sua normale utilizzazione, coessenziale al concetto di innovazione di cui all'art. 1120 c.c., ma è costituito dalla sua concreta inutilizzabilità.

I giudici di legittimità hanno infine chiarito che le prescrizioni di cui alla legge n. 13/89 si applicano, conformemente al principio di irretroattività, ai soli edifici realizzati successivamente all'entrata in vigore della normativa. In ogni caso le stesse sono derogabili, seppure entro i ristretti limiti consentiti. Infatti, in tema di accessibilità degli edifici e di eliminazione delle barriere architettoniche, le prescrizioni tecniche dettate dall'art. 8 del dm n. 236/89, in ordine alla larghezza minima delle rampe delle scale, possono essere derogate mediante scrittura privata.