Eco-ghigliottina per l’agricoltura
Eco-ghigliottina per l’agricoltura
C’è il rischio di una ghigliottina finanziaria dal retrogusto dirigista per gran parte dell’agricoltura italiana. La commissione europea punta a dirottare il grosso degli investimenti finanziari privati e pubblici sulle attività sostenibili, in linea col cosiddetto Green new deal

di di Luigi Chiarello 02/12/2020 07:12

C'è il rischio di una ghigliottina finanziaria dal retrogusto dirigista per gran parte dell'agricoltura italiana. La commissione europea punta a dirottare il grosso degli investimenti finanziari privati e pubblici – inclusi quelli stimolati dal piano InvestEu (evoluzione del piano Juncker) – sulle attività sostenibili, in linea col cosiddetto Green new deal. Per farlo ha proposto di estendere anche alle attività agricole l'utilizzo dello strumento della tassonomia, introdotto nel 2018 per classificare le imprese in base al loro impatto climatico, così da convogliare sulle «più virtuose» i grandi capitali, la cui potenza di fuoco è stimata in oltre 290 mld di euro l'anno. Lo scopo di Bruxelles è marciare a tappe forzate verso una «finanza sostenibile»; lo strumento che utilizza è il regolamento n. 353, presentato a maggio 2018 e approvato nel giugno 2020, che istituisce un quadro di regole a favore degli investimenti finanziari eco-friendly. Penalizzando quelli a emissioni inquinanti più elevate. In questa fase, però, l'esecutivo Ue lavora ai cosiddetti atti delegati. ItaliaOggi ha intercettato il testo posto in consultazione, con tanto di allegati. Per ora, i player chiamati a investire in modo «politicamente corretto» sono tutti i finanziari: società di gestione degli organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM); gestori di fondi di investimento alternativi (GEFIA), di fondi europei per il venture capital (EuVECA) e di fondi europei per l'imprenditoria sociale (EuSEF); imprese di assicurazione ed enti pensionistici aziendali o professionali (EPAP). E poi assicurazioni, banche, sim. Tutti dovranno integrare nelle loro procedure interne di valutazione i cosiddetti «requisiti ESG» (Environmental, Social and Governance), informandone anche i loro clienti.

Ma, dalla lettura degli allegati, oltre che dell'atto delegato, emerge come sia in costruzione una vera e propria griglia, destinata a condizionare tutte le scelte di finanziamento ed investimento future nell'Unione. Nell'allegato uno, ad esempio, si dispone la redazione di un Farm Sustainability Plan, recante obblighi molto particolareggiati in capo ad ogni singola azienda, che dovrà essere sottoposta a verifiche di terze parti. Si impone che almeno un 10% della superficie agricola aziendale venga destinata a verde improduttivo e a paesaggio (di fatto, una perdita secca per le aziende monoculturali). In più, vengono «vietati» i fertilizzanti di categoria tre, sebbene siano consentiti anche nel biologico. Così come risulta penalizzato il ricorso al letame, che di per sé è una alternativa naturale al fertilizzante, oltre che un nutritivo per il suolo. Insomma, il tentativo è di ridisegnare il modello agricolo dalla culla alla tomba, come se la tassonomia disegnata oggi dovesse diventare la bussola da usare domani per decidere quali progetti agricoli finanziare col Recovery fund. Di più: i criteri selettivi definiti in questa fase – in coerenza con la nuova strategia Ue Farm to fork – potrebbero costituire l'ossatura della futura Politica agricola comune e il pilastro degli aiuti allo sviluppo rurale. Gli stati membri, infatti, saranno chiamati a recepirli dal 2023, anno di entrata in vigore della futura Pac.

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