È di origine italiana la donna più potente alla Volkswagen, Daniela Cavallo è la presidente del Betriebsrat, il consiglio di fabbrica, responsabile per 300mila dipendenti in Germania, 660mila in tutto il mondo. È nata a Wolfsburg nel 1975, sposata, madre di due bambini, figlia di un immigrato italiano giunto in Germania nel 1973, un altro anno drammatico per la casa automobilistica. I giornali tedeschi, e le biografie trovate su internet, non dicono da dove venisse il signor Cavallo, probabilmente dal sud dell’Italia, e non sono riuscito a trovare l’informazione. Lei in questi giorni è troppo occupata per disturbarla, e a Wolfsburg vige la privacy. Non importa. È probabile che abbia visto il giovane immigrato Cavallo a Wolfsburg, prima che Daniela nascesse.
La Volkswagen si trovava in difficoltà nel ’73, a causa della crisi petrolifera. Il Giorno, di cui ero corrispondente, mi inviò a Wolfsburg: i tedeschi licenziano gli operai italiani, che dimostrano per strada. Quando si va sul posto per controllare quanto avviene, si scopre sempre una realtà diversa.
La VW, per ridurre i costi, offriva un premio di 10mila Deutsche Mark, circa dieci milioni al cambio dell’epoca, per favorire le dimissioni volontarie. Una cifra considerevole mezzo secolo fa. Un emigrato italiano sperava con quella somma di poter tornare in Italia e, magari, aprire un negozietto in paese, o finire la casa che aveva cominciato a costruire.
Viaggiando per il sud, la Calabria o la Sicilia, si vedevano ovunque case non finite, a cui mancava un piano, e le mura erano ancora da imbiancare. I lavori duravano anni, a volte non finivano mai. Ma 10mila marchi non erano un’offerta convincente per i tedeschi che dovevano rinunciare al posto di lavoro. In realtà gli emigrati protestavano per ottenere il premio, che la Vw voleva concedere solo ai dipendenti tedeschi. Sono gli impiegati a essere troppi, mi spiegarono in direzione, invece vogliamo tenere gl italiani, che sono i migliori. L’anno dopo, i responsabili della Vw andarono dal Cancelliere, il socialdemocratico Helmut Schmidt, a chiedere aiuto. «Fate auto migliori, o chiudete», rispose Schmidt, soprannominato die Schnautze, il grugno. E la VW si riprese. Questo per la storia, oggi la situazione è diversa, e la crisi è causata in gran parte dai politici al governo a Berlino.
La Cavallo ama l’Italia per farci le vacanze
Daniela Cavallo nelle interviste confessa di avere due patrie: «Vado sempre in vacanza in Italia, ma lì poi ho nostalgia di casa mia, a Wolfsburg». Suo padre, ricorda, da piccola le diceva che la Vw era l’impresa migliore in Europa dove lavorare. I dipendenti erano sicuri, e assistiti socialmente. Tre anni fa, ha preso il posto al vertice del Betriebsrat di Bernd Osterloh, che si ritirava dopo 16 anni. L’Handelsblatt, il primo quotidiano economico, scrisse che Daniela appariva minuscola accanto a Bernd, un gigante di un metro e 92, ma l’oriunda italiana sprizzava energia.
La VW era sotto accusa per gli alti stipendi e i premi di produzione concessi ai dirigenti, sindacalisti compresi (il 90 per cento è iscritto all’Ig Metall, il sindacato più potente al mondo, vicino all’Spd, il partito socialdemocratico). Osterloh ammise che nell’ultimo anno aveva guadagnato 750mila euro, tutto secondo la legge. Non so quanto guadagni la signora Cavallo, presumo molto di meno.
Oggi la Cavallo deve fronteggiare la crisi più grave nella storia dell’azienda
Si trova a fronteggiare la crisi più grave nella storia dell’azienda: la chiusura di tre stabilimenti su dieci, la perdita di 30mila posti, il taglio del 10 per cento dei salari, forse anche del doppio. Un operaio alla catena di montaggio arriva a guadagnare 5700 euro al lordo. Gli utili della VW sono crollati del 63,4 per cento nell’ultimo anno.
Nel ’94, altro anno difficile, dopo la riunificazione (1990), erano in pericolo diecimila posti, ma si riuscì a evitare i licenziamenti grazie alla settimana corta di 4 giorni, la riduzione delle ore settimanali a 29, e l’accordo per straordinari non pagati, da recuperare con giorni di ferie quando la situazione fosse migliorata. I dipendenti rinunciarono al dieci per cento del salario. Il patto fu rispettato da entrambe le parti. Ma oggi non basterebbe. «Nessuno di noi si può sentire sicuro», dichiara Daniela Cavallo.
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