Road to 270. È la soglia magica per entrare alla Casa Bianca: negli Usa, infatti, gli elettori non votano direttamente il presidente e il vice, ma 538 grandi elettori assegnati a ogni Stato dell’Unione in base alla popolazione, i quali poi il 17 dicembre indicheranno materialmente chi siederà nello studio ovale: è il giorno della verità per stabilire chi fra Donald Trump (repubblicani) e Kamala Harris (democratici) sarà il quarantasettesimo presidente, aggiudicandosi almeno la metà più una delle “pedine” sullo scacchiere a stelle e strisce.
La guida al voto e gli ultimi sondaggi
Chi vince in uno Stato prende tutto, cioè tutti i grandi elettori in palio (tranne che in Maine e Nebraska). Decidono sempre gli Stati in bilico, perché altri territori sono invece saldamente in mano a uno schieramento o all’altro, ad esempio New York e California ai democratici da un lato e dall’altro Texas e Florida ai repubblicani. Stavolta sono sette gli swing States, che assegnano in tutto 93 delegati: secondo l’ultimo sondaggio del New York Times e Siena College, Harris ha un vantaggio marginale in Nevada, North Carolina e Wisconsin, mentre Trump è appena sopra in Arizona; i due sono testa a testa, anzi neck to neck, in Michigan, Georgia e Pennsylvania. Intanto milioni di elettori hanno già votato per posta, mentre i risultati delle rilevazioni demoscopiche per ciascun candidato nei sette Stati chiave rientrano nel margine di errore del 3,5 per cento: nessuno dei due, insomma, ha un vantaggio definitivo. E se la vice presidente uscente, a sorpresa, è data in vantaggio nell’Iowa, l’ex presidente l’ha raggiunta in Pennsylvania, dove i due contendenti hanno tenuto il loro unico dibattito presidenziale: segno che si tratta dello Stato-chiave per eccellenza, un tempo in mano ai democratici, oggi in crisi d’identità per il flop dell’industria manifatturiera nelle città della “Rust Belt” come Philadelphia e Pittsburgh. Proprio in Pennsylvania, a Butler, Trump è sopravvissuto il 13 luglio scorso a un attentato durante un comizio. In sintesi: Harris parte da 226 voti considerati sicuri, ne mancano dunque 44 per quota 270, mentre Trump ne conta 219 e quindi è sotto di 51. Ma negli Stati battleground l’ex procuratrice ha meno combinazioni possibili rispetto all’ex presidente per raggiungere la vittoria: 25 contro 32.
Le anime dell’Unione
Sui 244 milioni di americani chiamati al voto, sono nati fra il 1997 e il 2012 circa 41 milioni di potenziali elettori, di cui oltre 8 milioni quest’anno per la prima volta alle urne. I giovani s’informano soprattutto su TikTok, X, Instagram, Reddit e YouTube: se la popstar Taylor Swift ha fatto un endorsement per Harris, il fondatore di Tesla e SpaceX Elon Musk si è schierato per Trump sul suo X, l’ex Twitter. Senza esclusioni di colpi la campagna elettorale, giocata soprattutto su immigrazione, tasse, aborto e cambiamento climatico. Ma sullo sfondo c’è la rivalità commerciale (e non solo) con la Cina. Pesano sull’agenda la spesa per il sostegno all’Ucraina nel conflitto con la Russia e la guerra in Medio Oriente. Circa sette milioni di americani sono ebrei, con una notevole presenza in Pennsylvania: votano soprattutto i democratici. Harris sul Medio Oriente ha posizioni in continuità con l’amministrazione Biden: è favorevole al sostegno militare a Israele, ma insiste sulla necessità di rispettare i diritti umani, esprimendo preoccupazione per i diritti dei palestinesi e sottolineando l’importanza di trovare una soluzione a due Stati. Il sostegno di Joe Biden a Tel-Aviv, più militare che politico, potrebbe tuttavia fare la differenza a favore di Trump nel Michigan, altra ex roccaforte democratica, dove Harris deve affrontare la sfiducia di parte dell’elettorato arabo-musulmano. I 50 milioni di cattolici americani costituiscono la più grande comunità di fede del Paese, pari al 20 per cento della popolazione: ne è esponente il candidato vice presidente trumpiano JD Vance, mentre Harris si è opposta alla Chiesa sul tema dell’aborto e risulta in testa nei sondaggi sul voto femminile, oltre che della popolazione nera; figlia di un oncologo e ricercatore indiano, l’ex procuratrice può ottenere voti nella comunità asiatica. Trump è sotto indagine per crimini a livello federale e statale, con quattro accuse e una condanna già emessa, ma respinge tutte le accuse, ha ottenuto il via libera alla candidatura dalla Corte Suprema e continua a mantenere un largo seguito: nel 2016 vinse anche grazie agli americani bianchi arrabbiati nel cuore industriale del Midwest, riconquistati da Biden, mentre i latinos sono molto cattolici e antiabortisti e tendono verso il tycoon, ma una sua gaffe su Porto Rico potrebbe incidere sul voto ispanico.
Check and balance
Per il presidente Usa, secondo la tradizione, si vota sempre il martedì dopo il primo lunedì di novembre: ci vorranno forse più di quattro giorni per conoscere il vincitore. Gli americani si pronunceranno anche per rinnovare tutta la Camera (435 deputati) e un terzo del Senato (34 seggi su 100 totali). I due rami del Congresso approvano le leggi, facendo da check and balance, controllo e bilanciamento rispetto ai poteri della Casa Bianca (cfr. in allegato una scheda sul sistema istituzionale statunitense realizzato dal servizio studi del Senato italiano). E per il presidente lo scenario migliore è avere una maggioranza del proprio partito sia alla Camera sia al Senato, per evitare veti di bilancio alle misure del programma, mentre lo scenario peggiore è avere contro entrambe le Camere, ritenuto comunque poco probabile dai sondaggi.
Il sistema del collegio elettorale per singoli Stati fa in modo che non conti il numero di suffragi riportato in senso assoluto da ciascun candidato a livello dell’intero Paese: nel 2016 Trump ha vinto contro Hillary Clinton pur avendo quasi tre milioni di voti in meno, mentre nel 2000 George W. Bush sconfisse Al Gore anche se il candidato democratico vantava un distacco di oltre mezzo milione di suffragi nel voto popolare. Oggi, inoltre, in 13 Stati si sceglie anche il nuovo governatore e in ben 41 States gli elettori dovranno pronunciarsi su un totale di 159 iniziative elettorali, simili ai nostri referendum, su temi come aborto, salario minimo e legalizzazione della marijuana. I singoli Stati hanno tempo fino all’11 dicembre per risolvere le controversie legate alle elezioni in vista della riunione del 17 dicembre, quando i grandi elettori indicheranno il nuovo presidente. Il 6 gennaio 2025 il presidente del Senato annuncerà i risultati delle elezioni dopo il conteggio dei voti durante la sessione congiunta del Congresso. Il vincitore entrerà alla Casa Bianca il giorno dell’inaugurazione, il 20 gennaio a mezzogiorno, per un mandato di quattro anni.
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