Le notizie di politica e di economia non sono nel cuore dei Millennial a differenza dei libri che risultano essere ancora molto apprezzati. I 30enni leggono infatti molto di più rispetto ai loro genitori quando avevano la loro età. La lettura risulta essere eterogena e rispetto ai generi non ci sono particolari differenze con i loro corrispettivi esteri. L’unica peculiarità e che da noi non impazziscono per i manuali, mentre fuori dai confini nazionali gran parte dei libri comprati sono proprio di questo genere. Il motivo, secondo Marco Gambaro, professore dell’Università di Milano, è che all’estero questi libri servono per migliorare sul posto di lavoro o apprendere nuove competenze per poter fare carriera. Da noi questa logica non è invece molto sviluppata.
Hard news Vs Soft news: la battaglia dell’informazione
I millennial sono dunque più attratti da quelle che vengono chiamate soft news, come le previsioni meteo e il gossip, piuttosto che da quelle hard come possono essere gli aggiornamenti di politica o di economia. Ma come mai?
Tre potrebbero essere i motivi:
- Si sentono dimenticati dall’attuale classe dirigente italiana, pensano che il loro contributo sia poco rilevante e di conseguenza non prestano attenzione a queste tematiche;
- Sono abituati ad un consumo di notizie veloci sui cellulari e non sempre questo genere di notizie si presta a letture rapide;
- Entrambe le ipotesi dette.
Mentre sul primo aspetto c’è ben poco da fare, se non una presa di coscienza da parte dell’attuale classe politica e imprenditoriale, per il secondo, il mondo della comunicazione può cercare di piegarsi a queste nuove logiche che non caratterizzano solo i millennial, ma anche le generazioni più giovani che si approcciano all’informazione.
I millennial cercano un nuovo modo di comunicare
Sono due i cambiamenti che hanno coinvolto il mondo della comunicazione e i millennial stanno partecipando in modo un po’ più intenso, rispetto ad altre generazioni, a questa innovazione.
Il primo aspetto è che i giornali sono poco letti, così come la tv e i relativi programmi sono poco guardati. Questo non significa che non guardano più giornali o la televisione ma che, rispetto ai baby boomer, ne riducono la fruizione. Lato televisione, per esempio, se la media in Italia è di circa quattro ore al giorno, per i millennial si riduce a un’ora e mezza, massimo due e molto spesso il device di competenza è digitale.
Il secondo aspetto è l’uso del cellulare che con la sua evoluzione è diventato sempre di più uno strumento dove consumare notizie in modo veloce. A questo si collega che le notizie accompagnate da immagini o video sono particolarmente attraenti. Non è quindi un caso che i social media la fanno da padrone come mezzo di informazione privilegiato per i più giovani, visto che offrono contenuti visivi e interattivi.
La disintermediazione e il ruolo dei giornalisti
Secondo Gambaro il problema principale è che internet, che poi si è portato dietro tutto il mondo dei social media, ha privato il giornalista del suo ruolo principale: fare da filtro e decidere che cosa è una notizia. L’arrivo di internet, inoltre, ha portato con sé la disintermediazione, facendo venire meno parte del lavoro del giornalista stesso. Il perché lo si vede nella vita di tutti i giorni: gli user filmano con il proprio cellulare e pubblicano sui social, da una parte, e dall’altra le stesse istituzioni mettono documenti, report e comunicati stampa sui loro canali Web, il che li rende disponibili al pubblico. Gambaro evidenzia inoltre come i giornalisti non hanno ancora visto il gap di intermediazione da colmare, tra il flusso di informazioni che c’è sul Web e che cosa è una notizia.
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