Kamala Harris o Donald Trump? Un esito incerto che vede una sostanziale parità tra i due candidati nella corsa per la Casa Bianca e che si giocherà sulla capacità di far breccia nelle fasce di elettorato che non sono riuscite a convincere in questi ultimi mesi. L’unica certezza è che nessuno dei due candidati lo farà promettendo prudenza fiscale.
La campagna elettorale è stata caratterizzata da una scarsa attenzione per i temi economici, mentre molta enfasi è stata data “all’immigrazione, alla giustizia sociale e al linguaggio contro le minoranza”, spiega Riccardo Puglisi, economista e docente di scienza delle finanze all’Università di Pavia.
La poca attenzione all’economia è dovuta, secondo Puglisi, a due motivi.
Questi due aspetti rendono i “repubblicani e i democratici abbastanza sereni sul tema debito” e spiega anche perché durante la campagna elettorale e il dibattito tra Trump e Harris non se ne è parlato, se non solo due volte. Lato mercati finanziari la situazione è invece stabile, visto che questi, secondo Puglisi, “prezzano una vittoria di Trump”, ma anche in caso contrario non sono previsti scossoni. Perturbazioni potrebbero invece esserci se si dovesse verificare una seconda Capitol Hill.
Harris e Trump faranno aumentare il debito degli Usa e questo è scontato, ma di quanto? Secondo il Committee for a Responsible Federal Budget, organizzazione bipartisan senza scopi di lucro che si occupa del bilancio federale e delle questioni fiscali, il piano della vicepresidente Harris potrebbe aumentare il debito tra i 3 e gli 8,3 trilioni di dollari fino al 2035, mentre il programma del presidente Trump lo aumenterebbe tra 1,65 e 15,55 trilioni di dollari.
Harris durante la sua campagna elettorale è stata rimproverata dallo stratega dei democratici di non discostarsi particolarmente dal programma di Biden, non mostrando le sue idee e soprattutto la sua personalità. D’altra parte “Harris è stata molto nascosta durante il mandato di Biden e non è un candidato particolarmente forte per i democratici”, sottolinea Puglisi.
Il programma economico della Harris ricalca dunque quello di Biden, nei suoi punti fondamentali:
Trump ha sicuramente più inventiva e propone misure nell’ottica dell’America First, soprattutto lato economico e in chiave anticinese.
La questione è delicata. Se dovesse vincere Trump si aprirebbero due temi:
Sulla questione Trump ha detto più volte di voler mettere la parola fine alla guerra e ha un approccio più interventista rispetto alla Harris. Questo potrebbe essere un punto a favore per l’Ue se il tycoon dovesse riuscire a trovare un punto di incontro tra Russia e Ucraina. Negativo se invece dovesse decidere di chiudere il rubinetto della politica di aiuti che Washington ha finora dato a Kiev. Secondo un report di Goldman Sachs, per compensare il calo dei sussidi degli Usa, l’Ue dovrebbe investire 80 miliardi di euro in più rispetto a quello che fa oggi.
2. Il secondo è l’economia nell’Unione europea.
Trump vuole mettere dazi fino al 12,5% contro le merci provenienti dall’Ue e questo potrebbe farci particolarmente male. Focalizzandoci sull’Italia, l’ipotesi di nuovi dazi, è un tema molto delicato visto che gli Stati Uniti sono il secondo mercato di sblocco per i prodotti italiani (10,7%), subito dopo la Germania con quasi il 12%.
Non bene neanche sul fronte difesa comune dell’Ue. Aspetto di non secondaria importanza visto che l’Ue non riesce a trovare una quadra sui fondi da destinare al progetto. Le parole di Trump ci devono dunque preoccupare visto che se mai fossimo attaccati dalla Russia «non li proteggerò», anzi, «incoraggerò i russi a fare il diavolo che vogliono loro» se i paesi della Nato non spendono il 2% del Pil in difesa. L’Italia è uno dei pochi paesi dell’alleanza che non è ancora al 2% e per arrivare a questa percentuale dovrebbe mettere a budget altri 10 miliardi di euro solo per la difesa nella Manovra 2025. Missione impossibile. Qui si innesta il problema dello spazio fiscale
La Harris ha invece un approccio molto più soft e cooperativo verso l’Ue e questo, sul lato economico, potrebbe essere un bene. Sul fronte geopolitico restano aperte le questioni, non avendo un approccio interventista.
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