Il governo - dalla parte di Fratelli d'Italia, potrebbe farsi male, rischiando di cadere sui pavimenti scivolosi del ministero della Cultura dove, oltre alla testa di Gennaro Sangiuliano, ormai ex ministro, è rotolata anche quella del capo di gabinetto, Francesco Spano. Insomma, un terremoto con tanto di caduta di calcinacci che rischiano di imbiancare e scalfire l'immagine solida della premier in persona, Giorgia Meloni. Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, all'ennesimo scossone, evoca le dimissiomi ma viene bloccato proprio dalla premier, Giorgia Meloni, che vuole evitare il temuto effetto domino sul governo.
Secondo Repubblica il rischio è che il "caso Giuli" faccia vacillare i superpoteri di Meloni, crei tensioni enormi dentro Palazzo Chigi. Ecco perché - secondo il quotidiano - Meloni avrebbe deciso di chiamare Giuli. Chiamata necessaria — fatta trapelare dai più stretti collaboratori— dopo l'incontro avuto ieri dal ministro della Cultura con Alfredo Mantovano dopo le dimissioni di Spano. Ma soprattutto, telefonata fondamentale per cercare di placare lo scontro tra Giuli e Giovanbattista Fazzolari.. Arginare è dunque l'imperativo della presidente del Consiglio, "dobbiamo rallentare — è il senso di quanto dice al giornalista diventato responsabile del Mic, secondo quanto riferiscono fonti di massimo livello di Palazzo Chigi — dobbiamo trovare soluzioni, collaborare, evitare che questa storia sfugga di mano e metta davvero in difficoltà il governo".
In realtà, la premier e i suoi più stretti collaboratori imputano a Giuli una mancata condivisione nelle scelte e un'autonomia eccessiva, sgradita, incontrollabile. E per certi versi pericolosa. Sono preoccupati, anzi letteralmente allarmati dalla possibilità che le inchieste giornalistiche mettano in difficoltà Emanuele Merlino, capo della segreteria tecnica di Giuli, fidatissimo di Fazzolari. Che seguano altre dimissioni, dopo quelle che hanno scosso il ministero. E che il caos finisca per travolgere anche Giuli.
Come reagirebbe, a quel punto, il neo ministro? A colloquio con Meloni, Giuli tiene sostanzialmente il punto. Si dice fiero di aver deciso la cacciata dell'ex capo di gabinetto Francesco Gilioli e di aver coinvolto Spano nell'avventura di governo poi finita nel modo peggiore. Ma soprattutto, denuncia il "fuoco amico" di Fratelli d'Italia, l'azione sotterranea di quelli che da giorni provano ad affondarlo. Infine, per ribadire la buona fede fa un ragionamento che si può sintetizzare così: se necessario, non ho problemi a dimettermi. Giuli — e tutti i protagonisti di questa storia — sanno benissimo che non sarebbe tollerabile, né sostenibile per il melonismo la caduta del secondo ministro della Cultura in un mese. Peggio: il disastro produrrebbe solo nuove vendette. È quello che in privato ammette anche Meloni, al telefono, secondo quanto riferiscono le stesse fonti di Palazzo Chigi: "Dobbiamo restare compatti, abbassare la tensione. Altrimenti la situazione rischia davvero di finire fuori controllo".
Dopo il colloquio — e in forza di questa tesi ispirata al contenimento del danno — Palazzo Chigi si adopera per una tregua. Parla addirittura Fazzolari, il grande avversario del ministro: "Non c'è nessuno scontro con Giuli. Notizia falsa e pateticamente inventata. È una persona che stimo e della quale apprezzo la grande professionalità".