L’uso di un immobile come portineria non è per sempre. Dopo lo sfratto, quindi, un terzo può utilizzare i locali e adibirli ad altra destinazione. Lo ha chiarito la terza sezione civile della Corte di cassazione, con la recente sentenza n. 29199, pubblicata lo scorso 12 novembre 2024, secondo cui chi acquista da un privato il locale adibito ad alloggio del portiere dello stabile condominiale non è obbligato a rispettare tale vincolo e può quindi intimare al condominio lo sfratto per finita locazione. Infatti, il vincolo di destinazione in perpetuo ad alloggio del portiere di un immobile di proprietà esclusiva non rientra nella categoria delle obbligazioni cosiddette “propter rem”, nelle quali c’è un legame indissolubile tra soggetto e bene, perché non esiste una disposizione di legge che contempli l’obbligazione reale tipica di concedere in uso perpetuo un’unità immobiliare. Di conseguenza detto vincolo non impegna i successivi acquirenti.
Un soggetto, che aveva acquistato all’asta un immobile, si era visto opporre dal condominio il vincolo di destinazione dello stesso ad alloggio del portiere in virtù di locazione concessa dall’originario proprietario-costruttore, di cui si faceva menzione anche nel regolamento. Il nuovo proprietario aveva allora intimato al condomino lo sfratto per finita locazione in relazione a detto immobile, chiedendone il rilascio. Quest’ultimo si era opposto, eccependo il fatto che si trattava di abitazione del portiere prevista dal regolamento, che detta destinazione non era mai stata modificata dal condominio e che la fattispecie non poteva essere regolata con gli istituti della locazione, per l’esistenza di un vincolo reale. Il tribunale aveva rigettato la domanda, ritenendo che, in virtù del regolamento di condominio trascritto, l’immobile era gravato da un vincolo di destinazione, configurante una obbligazione cosiddetta propter rem.
Tale vincolo, sempre secondo il tribunale, era connesso alla destinazione dell’immobile a casa del portiere, per cui esso si trasmetteva automaticamente anche agli aventi causa del proprietario e poteva venire meno solo con l’eventuale cessazione della destinazione e, quindi, nel caso di soppressione del servizio di portierato, circostanza che nella specie non era stata dimostrata nel corso del giudizio.
Anche la Corte di appello aveva confermato tale decisione, condividendone la motivazione in diritto. I giudici di secondo grado avevano in tal senso richiamato un orientamento di legittimità, secondo cui le parti dell’edificio condominiale, ivi compresi i locali per la portineria e per l’alloggio del portiere, indicate al n. 2 dell’art. 1117 c.c., che al pari di quelle di cui ai nn. 1 e 3 dello stesso articolo sono oggetto di proprietà comune, se il contrario non risulta dal titolo, sono anche suscettibili, a differenza di quelle di cui ai citati nn. 1 e 3, di utilizzazione individuale, in quanto la loro destinazione al servizio collettivo dei condomini non si pone in termini di assoluta necessità (cfr. Cass. civ., n. 11068 del 24/10/1995; Cass. civ., n. 5167 del 25/8/1986; Cass. civ., n. 4435 del 27/3/2001; Cass. civ., n. 6474 del 25/3/2005). Pertanto, secondo la Cassazione, in relazione a dette parti condominiali occorre accertare nei singoli casi se l’atto che le sottrae alla presunzione di proprietà comune contenga anche la risoluzione o il mantenimento del vincolo di destinazione derivante dalla loro natura, configurandosi nel secondo caso l’esistenza di un vincolo obbligatorio propter rem fondato su una limitazione del diritto del proprietario e suscettibile di trasmissione in favore dei successivi acquirenti dei singoli appartamenti, anche in mancanza di trascrizione.
La decisione di appello è stata a sua volta impugnata dinanzi alla Suprema corte. I giudici di legittimità hanno quindi inteso dare continuità a un altro e più recente indirizzo giurisprudenziale che, in siffatta materia, esclude la configurabilità di una obbligazione propter rem. Infatti, secondo una serie di successive decisioni della Cassazione, si ritiene che il negozio con cui, successivamente alla costituzione del condominio, si imprime a un immobile, sin dall’origine di proprietà di uno dei condòmini, il vincolo di destinazione in perpetuo ad alloggio del portiere, non può essere fatto rientrare nella categoria delle obbligazioni propter rem, poiché in questo caso difetta il requisito della tipicità. Non esiste, infatti, una disposizione di legge che contempli l’obbligazione reale tipica di concedere in uso perpetuo un bene immobile (cfr. Cass. civ., n. 26987 del 24/10/2018; Cass. civ., n. 4572 del 26/2/2014; Cass. civ., n. 11802 del 18/6/2020; Cass. civ., n. 30302 del 14/10/2022, n. 30302; Cass. civ., n. 16083 del 10/6/2024). Nella sentenza in commento la Suprema corte ha chiarito che la motivazione alla base dell’inconfigurabilità di obbligazioni reali atipiche è da rinvenire essenzialmente nell’impossibilità, in capo ai singoli, di incidere sulla posizione giuridico-economica del terzo indipendentemente da una sua determinazione di volontà, vincolo che, dunque, deve necessariamente discendere da una disposizione normativa. In questo senso la giurisprudenza di legittimità, già a partire dagli anni Cinquanta, quindi prima dei precedenti citati dalla Corte di appello e in precedenza indicati, aveva seguito costantemente un orientamento volto a escludere che le obbligazioni propter rem potessero essere liberamente costituite dai privati (cfr. Cass. civ., n. 141 del 18/1/1951; Cass. civ., n. 49045 del 7/9/1978, Cass. civ., n. 8797 del 20/8/1993; Cass. civ., n. 8 del 2/1/1997).
La terza sezione civile della Cassazione ha però anche evidenziato che il vincolo di destinazione relativo a un locale di proprietà esclusiva destinato all’alloggio del portiere potrebbe anche essere ricondotto a un rapporto di servitù, in virtù degli obblighi negativi sottesi a tale destinazione (si vedano, sul punto, le già indicate Cass. civ., n. 16083/2024, e Cass. civ., n. 30302/2022). Tale servitù, tuttavia, deve pur sempre rinvenire la sua fonte in un apposito titolo, debitamente trascritto, dal quale risulti la volontà di restringere permanentemente i poteri normalmente connessi alla proprietà di quel bene e ad assicurare correlativamente particolari vantaggi e utilità alle altre unità immobiliari e alle parti comuni, assumendo perciò carattere di realità, sì da inquadrarsi nello schema delle servitù ovvero nell’acquisto mediante usucapione.
Tra l’altro, il fatto di qualificare il vincolo di destinazione come una servitù non azzera le facoltà e i poteri insiti nel relativo diritto di proprietà, in quanto tale vincolo non annulla del tutto le utilità connesse al godimento dell’immobile. Infatti, laddove il servizio di portierato sia per qualsiasi motivo cessato o sospeso, i proprietari tornano immediatamente in condizione di utilizzarlo come meglio credono. Inoltre, in assenza dei presupposti per l’esercizio di una servitù, sempre secondo i giudici di legittimità, la materiale assegnazione di una porzione di fabbricato al servizio di portineria potrebbe assumere diverso rilievo nei limiti in cui risulti possibile la costituzione di servitù per destinazione del padre di famiglia, allorché le opere permanenti destinate all’esercizio della servitù medesima, predisposte dall’unico proprietario, preesistano al momento dell’atto di costituzione del condominio.
L’eventuale soppressione del servizio di portineria da parte dei condòmini fa venir meno il vincolo di destinazione dell’unità immobiliare. Tale decisione deve essere adottata in sede di assemblea condominiale. Qualora si intenda sopprimere la figura del portiere, si configurerà una vera e propria innovazione, ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 1120 c.c., con la conseguenza che le relative delibere dovranno essere approvate dall’assemblea con la maggioranza dei condòmini e i due terzi dei millesimi. Se però il servizio è previsto dal regolamento condominiale, si ritiene sufficiente la maggioranza stabilita dal terzo comma dell’art. 1138 c.c. (maggioranza degli intervenuti all’assemblea che rappresentino almeno metà del valore dell’edificio).
Una volta venuto meno il servizio di portineria, i locali a ciò destinati, ove siano di proprietà esclusiva, potranno essere liberamente utilizzati dal proprietario, nei limiti della destinazione urbanistica e in ottemperanza a eventuali limitazioni contenute in un regolamento condominiale di natura contrattuale. Ove, invece, l’unità immobiliare sia di proprietà comune, i condòmini decideranno se destinare gli stessi ad altro utilizzo condiviso o se cederne la proprietà a uno di loro o a un terzo (che, con l’acquisto del bene, diventerà a sua volta condòmino).
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