«La forza del centrodestra è la sua unità, ed è il lascito politico più importante di Silvio Berlusconi a trent’anni dal suo primo governo. La vittoria di Marco Bucci in Liguria dopo il caso Toti? Le inchieste giudiziarie non fanno più presa presso l’elettorato anche se vengono utilizzate dalle opposizioni e da una certa stampa come clave per abbattere l’avversario. Ormai gli italiani sanno che si risolvono in nulla o poco». Giovanni Orsina, storico e politologo, direttore del dipartimento di Scienze politiche della Luiss Guido Carli, passa sotto la lente il risultato del voto ligure. Sul centrosinistra dice: «È messo male, ha un problema strutturale, il suo elettorato di riferimento premia chi diverge e non chi si unisce. E ad oggi non c’è una leadership così forte e una proposta politica così entusiasmante da far superare gli steccati che dividono i partiti e magari riportare al voto anche chi a votare non ci va più. Non dimentichiamo», aggiunge Orsina, «che la vittoria del centrodestra ha tante componenti, una di queste è anche l’astensionismo che sta a sinistra». Una sinistra, aggiunge Orsina, «in crisi in tutta Europa, che ha sostituito le battaglie di classe con le battaglie per i diritti civili e l’ambientalismo. Ma sono battaglie di nicchia queste, che riscuotono consenso solo presso un’élite che, tra l’altro, già vota a sinistra».
Domanda. Bucci vince in Liguria con un punto e mezzo di stacco sul candidato di sinistra Andrea Orlando, ribaltando i pronostici della vigilia e contraddicendo la regola dell’alternanza tra gli schieramenti.
Risposta. Il meccanismo è abbastanza semplice, ormai votano solo gli elettori molto motivati, che hanno un rapporto forte con il proprio partito oppure con il candidato. E che sono quindi meno sensibili a fattori extrapolitici come quelli giudiziari. Potrebbe aver giocato a favore di Bucci anche la sua immagine di sindaco del fare: l’esperienza di Genova, della ricostruzione del Ponte Morandi a tempi di record ha restituito l’immagine positiva di un politico che può fare qualcosa per una terra che vive grossi problemi infrastrutturali.
D. Eppure Bucci è stato sconfitto da Orlando proprio a Genova città, mentre è andato molto bene a Imperia, terra di Claudio Scajola.
R. In una grande città, come Genova, potrebbe esser sopravvissuto un pezzo di voto di opinione. Ossia quello più sensibile a scandali e inchieste.
D. Bucci ha vinto nonostante il suo predecessore, Giovanni Toti, sia stato costretto alle dimissioni da un’inchiesta giudiziaria per corruzione impropria e finanziamento illecito. La giustizia non condiziona più la politica?
R. L’opinione pubblica è satura, dopo 30 anni le inchieste giudiziarie non fanno più presa presso l’elettorato anche se vengono utilizzate dalle opposizioni e da una certa stampa come clave per abbattere l’avversario. Gli italiani sono stanchi di queste vicende, sanno che poi finiscono in niente o poco. I giornali pompano il caso dell’apertura di un’inchiesta ma quando questo arriva all’elettore non sortisce più nessuna indignazione e dunque non traina il voto in una direzione o in un’altra. O meglio, sortisce effetti presso un elettorato di opinione, magari tendenzialmente antipolitico come quello del Movimento5stelle. Ma se questo non va più a votare, come accaduto in Liguria dove i 5stelle non hanno capitalizzato neppure il 5%, dimezzando il risultato delle Europee, l’effetto finisce per essere assai scarso.
D. Chi votava per i 5stelle non è ritornato a votare per il Pd? Il partito di Elly Schlein è primo con il 28,5% dei voti, due punti percentuali in più rispetto alle Europee.
R. Io propendo per la tesi che molti dei 5 stelle siano rimasti a casa e che l’aumento dell’astensionismo abbia fatto crescere la percentuale del Pd, ma a parità di voti. Insomma, il Pd cresce nelle percentuali, ma non nei voti assoluti, che, riducendosi la platea dei votanti, pur non aumentando pesano di più.
D. Renzi attacca Conte per il veto su Italia viva che avrebbe condizionato il risultato finale di Orlando. M5s replica: con Renzi avremmo perso di più. Chi ha ragione?
R. Impossibile dire quanti voti avrebbe fatto guadagnare Renzi e quanti ne avrebbe fatti perdere.
D. Andrea Orlando, che ha preso meno voti delle liste, dice di aver fatto da cavia…
R. Lo saranno sempre tutti i candidati di un centrosinistra che è una tele di Penelope, fatta e disfatta di continuo, senza la minima stabilità.
D. Eppure il Pd primo partito ha staccato di 10 punti percentuali Fratelli d’Italia.
R. Ma per essere un’alternativa e vincere gli servono altri 20 punti percentuali. Non pochi né facili da raccogliere, se il risultato di tutti i partiti che non sono a destra, in coalizione, resta inferiore della somma dei risultati che quelli ottengono da soli.
D. Dopo due anni dalle Politiche, come è messo il centrosinistra di cui il Pd della Schlein vorrebbe essere federatore?
R. Molto male, il centrosinistra è afflitto da un problema strutturale.
D. Cioè?
R. L’elettorato di centrosinistra è divergente e punisce chi converge, a differenza dell’elettorato di centrodestra che è convergente e punisce chi diverge. Esempio pratico: il Movimento5stelle da solo può attestarsi sul 10 o anche 12%, ma se si unisce col Pd perde una quota significativa dei propri voti. Questa asimmetria rispetto al centrodestra penalizza le opposizioni nella costruzione di un’alternativa vincente. E ad oggi non ci sono una leadership così forte e una proposta politica così entusiasmante da far superare gli steccati che dividono i partiti e magari riportare al voto anche chi a votare non ci va più. Non dimentichiamo che la vittoria del centrodestra ha tante componenti, una di queste è anche l’astensionismo che sta a sinistra.
D. Un modello di leadership aggregante?
R. Servirebbe un’operazione del tipo di quella che fece in Francia François Mitterrand negli anni ’70, e che lo portò all’Eliseo nel 1981. Ma era un mondo profondamente differente da quello attuale.
D. Oggi la politica green che ha contrassegnato le battaglie della sinistra in Europa è sul banco degli imputati per la crisi dell’automotive, che ha colpito non solo l’Italia ma anche la Germania e la Francia.
R. È evidente la crisi della sinistra in Europa, la sua fatica nel costruire un’offerta politica accattivante. La lotta di classe, che ha contraddistinto la sinistra nel Novecento, ha lasciato il posto all’ideologia green e, aggiungo, alla difesa dei diritti civili. Con quali risultati? L’ambientalismo ha innescato una crisi di rigetto, davanti ai problemi industriali e occupazionali, e la spinta ad ampliare i diritti individuali, in una società che in larga misura già li riconosce e tutela, è diventata una battaglia di nicchia. Così la sinistra è diventata espressione di un mondo progressista residuale, di un’élite consistente ma minoritaria, e non riesce ad arrivare a un elettorato più ampio.
D. E la destra?
R. La destra ha riscoperto l’idea di nazione, di novecentesca memoria, e l’arma della difesa degli interessi nazionali ancora funziona presso un elettorato preoccupato dalla globalizzazione e dai problemi dell’immigrazione.
D. Fratelli d’Italia perde 11 punti rispetto alle Europee, la Lega si conferma secondo partito su Forza Italia, i voti che mancano ai partiti sono andati alla lista Bucci. Come è messo il centrodestra?
R. Il voto ligure dice due cose sul centrodestra: la prima è che, dopo due anni di governo Meloni, è ancora vincente. Vero è che dall’altra parte il centrosinistra è messo male, vero che l’astensionismo è alto, ma comunque la coalizione guidata da Meloni resiste. La seconda è che l’elettorato di riferimento del centrodestra si può spostare da un partito all’altro, ma resta sempre nello stesso perimetro. È il lascito politico di Silvio Berlusconi, la sua intuizione di un centrodestra unitario resta la grande forza di questo schieramento.
D. Nel 1994 il primo governo Berlusconi, dopo 30 anni come è cambiato il centrodestra?
R. È cambiata la composizione interna della coalizione, Forza Italia non è più il partito di maggioranza, ha ceduto a un partito di destra il suo scettro, FdI, e la Lega non è più residuale e territoriale. Ed è cambiata la leadership che oggi viene dalla politica e non da un’azienda, una leadership, quella di Giorgia Meloni, che non ha più il suo ancoraggio europeo nel Partito popolare ma nei Conservatori. La società è cambiata, e il centrodestra è riuscito, dopo più di dieci anni di purgatorio – dal 2011 al 2022 –, ad adeguarsi, a ricostruirsi per rispondere ai cambiamenti. Cosa che la sinistra non è ancora riuscita a fare.
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