Per l’accesso al credito arriva in soccorso la filiera
Per l’accesso al credito arriva in soccorso la filiera
Tra gli strumenti più utilizzati: factoring e anticipo fattura. Ma le soluzioni alternative sono quasi sconosciute alle Pmi. La fotografia scattata dall’Osservatorio Supply chain finance del Politecnico di Milano

di di Roxy Tomasicchio 24/03/2024 02:00

L’accesso al credito delle imprese passa sempre più da canali alternativi. Primo fra tutti, per il boom di questi ultimi anni, quello rappresentato dalla supply chain finance, cioè la possibilità di finanziare il capitale circolante facendo leva sulle imprese della filiera. Dopo aver raggiunto i 560 miliardi di euro nel 2022 (+10,2% sull’anno precedente), il mercato potenziale non si ferma, con una crescita stimata tra lo 0,5% e il 3%, nel 2023, su un valore di 563-575 miliardi di euro di crediti commerciali complessivi. Sono i risultati dell’Osservatorio Supply Chain Finance della School of Management del Politecnico di Milano. Inflazione e aumento dei tassi di interesse hanno lasciato a secco le casse delle imprese italiane e la Supply chain finance ha guadagnato terreno. Circa un quarto del mercato potenziale è già servito da soluzioni di credito di filiera (23%), che nel 2023 raggiungono un valore di circa 130 miliardi di euro.

Gli strumenti usati per ottenere credito

Tra le soluzioni più utilizzate c’è il factoring, ossia la cessione di crediti commerciali a operatori specializzati, che copre un valore complessivo di 60,4 miliardi di euro, stabile rispetto all’anno precedente. Segue l’anticipo fattura, forma di finanziamento che prevede l’anticipo da parte di un operatore finanziario di una o più fatture non ancora riscosse, anch’esso stabile a 54 miliardi di euro. A distanza il reverse factoring, che si realizza con una partnership per favorire la cessione delle fatture ai fornitori sfruttando il merito creditizio del cliente e che fa registrare una crescita record del +10%, raggiungendo 8,9 miliardi di euro di valore.

Tra gli altri strumenti, il confirming, in cui il debitore cedente rilascia all’operatore finanziario un’autorizzazione al pagamento dei fornitori, in calo del 2% a, 1,6 miliardi di euro; e il purchase order finance, cioè l’utilizzo di un ordine ricevuto da un cliente con elevato merito creditizio come garanzia per un finanziamento, in aumento dell’1% fino a 1,1 miliardi di euro. Pur con volumi limitati, crescono invece in modo sensibile la carta di credito B2B (+13%, 3,5 miliardi di euro), il dynamic discounting (soluzione tecnologica che consente il pagamento anticipato a fronte di uno sconto proporzionale ai giorni di anticipo, +32%, 0,7 miliardi di euro) e l’invoice trading (marketplace per la cessione del credito che consente a terze parti di investire nelle fatture emesse dalle aziende, +24%, 0,5 miliardi di euro), dimostrando una maggiore conoscenza e adozione anche di questi strumenti.

Si affaccia sul mercato il Buy now pay later B2B

Si fa avanti anche una nuova alternativa di finanziamento, utile soprattutto per chi ha bisogno di supportare le vendite verso clienti più piccoli. Si tratta del Buy now pay later B2B, una modalità di pagamento che consente alle imprese clienti di un grande fornitore capofiliera di acquistare i suoi prodotti o servizi posticipando il pagamento di 30, 60 o 90 giorni rispetto ai termini di pagamento tradizionali, basandosi sullo standing dell’impresa fornitrice che mette a disposizione di un istituto finanziario il proprio portafoglio clienti per una valutazione. I clienti possono ricevere la merce o il servizio senza un flusso di cassa in uscita immediato, la grande impresa fornitrice riceve il pagamento immediato dall’istituto di credito, al netto di una fee di servizio.

Il mercato in cifre

Analizzando i dati a consuntivo, complessivamente nel 2022 le soluzioni di Supply chain finance hanno coperto il 23% del mercato potenziale del valore di 560 miliardi di euro. Il mercato servito da queste soluzioni risultava in netta crescita, raggiungendo 129 miliardi di euro. Tra le soluzioni più utilizzate, ci sono il factoring (60,4 miliardi di euro +5%), seguito dall’anticipo fattura (54 miliardi di euro, +15%) che ha avuto una buona ripresa dopo qualche segnale di flessione. Il reverse factoring evidenziava una crescita stabile (8,1 miliardi di euro, +13%). Gli altri aumenti significativi erano la carta di credito B2B (3,1 miliardi di euro, +53%) e l’invoice trading (0,42 miliardi di euro, +90%). Il purchase order finance (1,03 miliardi, +2%) aveva toccato il suo massimo storico, mentre crescevano, seppur con volumi assoluti ancora limitati il dynamic discounting (0,5 miliardi di euro, +83%) e il confirming (1,6 miliardi di euro, +38%).

Le soluzioni alternative? Quasi sconosciute alle Pmi

Malgrado il bisogno di liquidità delle Pmi (basti pensare che il 33% considera la propria liquidità bassa o molto bassa, con la necessità di accedere a fonti di finanziamento in tempi brevi), solo il 3% conosce il cosiddetto credito di filiera, ossia la supply chain finance. È quanto emerge dal sondaggio condotto da Workinvoice, società fintech di servizi per le imprese, in collaborazione con l’Osservatorio Supply Chain Finance del Politecnico di Milano. «La paura delle aziende è nei numeri. E in quella percezione di incertezza e instabilità che si traduce nel 56% di Piccole e medie imprese che pensa di aver bisogno di accedere a un finanziamento entro una settimana. Per arrivare a quel 31% che ne ha urgenza, o così percepisce, in meno di 48 ore», commenta Matteo Tarroni, co-founder & Ceo di Workinvoice, «soldi che servono a finanziare gli investimenti per la crescita, le normali uscite di cassa e alle volte a coprire fenomeni inattesi come, per esempio, l’improvviso rincaro di una materia prima». Eppure, come rileva il sondaggio, le Pmi italiane ricorrono prevalentemente a soluzioni tradizionali: il 72% si rivolge alle banche, il 15% al proprio commercialista. La maggior parte neppure conosce l’esistenza di soluzioni alternative, come la Supply chain finance. Questo a fronte di una forte sete di liquidità: «Con un giro d’affari, calcolato da Sace, di oltre mille miliardi di euro, le Pmi generano quasi il 40% del valore aggiunto nazionale e impiegano un terzo di tutti gli occupati. Non solo, sono le imprese più dinamiche con un incremento della produttività del 7% tra il 2010 e il 2019 e sono campioni dell’export: nel 2019 hanno venduto all’estero beni per 219 miliardi di euro, il 46% delle esportazioni dell’intero sistema Italia», spiega Tarroni, aggiungendo che «per questo le Pmi sono le imprese che più di tutte hanno bisogno di essere supportate nella gestione della liquidità e di conoscere soluzioni alternative ai canali tradizionali. Ancora di più oggi, dopo anni di sconvolgimenti macroeconomici e geopolitici». Prima la pandemia globale, che ha fermato i mercati e poi ha strozzato le catene di approvvigionamento con la ripresa della domanda; poi l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, che ha fatto esplodere il prezzo del gas e a cascata dell’energia; infine, le tensioni sul Mar Rosso, che bloccano Suez con un aumento della volatilità sulle consegne e sulle vendite delle merci, che si traducono in tempi d’incasso più lunghi e comunque più incerti. «In questo scenario di aumentata volatilità, la gestione della cassa è sempre più complicata: le uscite possono aumentare per l’impennata dei prezzi della materia prima e contestualmente gli incassi possono diventare più lenti».

Le risposte raccolte attraverso il questionario, rivolto a 437 Pmi, delineano un quadro di non perfetta pianificazione finanziaria. Più della metà del campione ha urgenza di accedere a fonti di finanziamento entro una settimana; quelle attive nei servizi ne hanno bisogno più di altri settori, perché tendenzialmente hanno una bassa liquidità. Al contrario le imprese attive in trasporto e magazzinaggio hanno una maggiore liquidità e dunque meno urgenza.

Per soddisfare il bisogno di liquidità, le Pmi italiane usano prevalentemente le soluzioni tradizionali di finanziamento, come prestiti bancari e linee di credito autoliquidanti, soprattutto perché le soluzioni alternative, come quelle di Scf (Supply chain finance), sono per loro quasi sconosciute.

Il punto dirimente sull’accesso al credito sono i tassi di interesse: se sono alti diventano una barriera insormontabile. Oltre a ciò, le micro e piccole imprese richiedono prima di tutto processi snelli con minimi requisiti documentali e poi un supporto consulenziale durante l’adozione delle soluzioni di finanziamento. Ed è proprio qui che entra in gioco il credito di filiera, che fa della flessibilità lo strumento principe. L’utilizzo dei dati permette di analizzare il rischio in tempo reale e costruire la soluzione migliore per l’azienda. Con il risultato di poter erogare un finanziamento in ventiquattro ore, ma anche di modellarlo sul bisogno, in continua evoluzione, delle imprese.

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