Finanziamenti solo per chi ha estinto i debiti tributari o patteggiato sotto i due anni. Delle garanzie statali previste dal decreto sulla liquidità alle imprese, non potranno usufruire i grandi evasori fiscali, per i quali, unitamente a condanna per un reato tributario intervenuta negli ultimi cinque anni, sono scattate le pene accessorie, come l'interdizione dai pubblici uffici. È quanto prevede un emendamento al decreto Liquidità approvato in commissione finanze e attività produttiva della camera. Il decreto da settimana prossima sarà atteso all'esame dell'aula. Con la conseguenza che, in applicazione delle norme di cui al dlgs 74/2000 sui reati in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto, nonché in base alle ultime pronunce della Cassazione in materia, si può dedurre che sarà ammesso alle garanzie unicamente chi abbia pagato i propri debiti con il Fisco o abbia patteggiato una pena di modesta entità.
I requisiti da autodichiarare. Con l'emendamento al decreto approvato dalle Commissioni Attività produttive e Finanze della Camera è stato introdotto il meccanismo dell'autocertificazione, per il quale l'impresa che avanza la richiesta dovrà dichiarare sotto la propria responsabilità, con dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà, di avere i requisiti previsti dal decreto per godere della suddetta garanzia.
Ma attenzione, perché tra i diversi requisiti contemplati dal disposto normativo, ne spunta uno che sbarra l'accesso ai finanziamenti a chi si sia macchiato la fedina penale evadendo le tasse: specificamente si dovrà dichiarare che «nei confronti del legale rappresentante non è intervenuta condanna definitiva, negli ultimi cinque anni, per reati commessi in violazione delle norme per la repressione dell'evasione fiscale in materia di imposte sui redditi e sul valore aggiunto nei casi in cui sia stata applicata la pena accessoria di cui all'articolo 12, comma 2, del decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74».Reati tributari e pene accessorie. I reati contemplati sono appunto tutti quelli tributari previsti dal dlgs 74/2000, ovvero non solo quelli maggiormente insidiosi perché connotati da carattere ingannatorio, quali la frode fiscale di cui agli artt. 2 e 3, ma anche quelli che si «limitano» al mero inadempimento dell'obbligo impositivo, quali la dichiarazione infedele o omessa di cui agli artt. 4 o 5, nonché le ipotesi di omesso versamento e indebita compensazione previste rispettivamente dagli artt. 10-bis, 10-ter e 10-quater.
Precisamente, la condanna per taluno dei delitti previsti dal presente decreto importa: a) l'interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese per un periodo non inferiore a sei mesi e non superiore a tre anni; b) l'incapacità di contrattare con la pubblica amministrazione per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni; c) l'interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a cinque anni; d) l'interdizione perpetua dall'ufficio di componente di commissione tributaria; e) la pubblicazione della sentenza. Inoltre, se la condanna riguarda i gravi delitti di utilizzo o emissione di fatture false, si aggiunge l'interdizione dai pubblici uffici per un periodo non inferiore ad un anno e non superiore a tre anni.
Salvo chi estingue il debito o patteggia sotto i due anni. Ciò detto, il dlgs 74/2000, con l'art. 13-bis, salva dalle predette misure coloro i quali prima della dichiarazione di apertura del dibattimento, abbiano estinto il debito con l'erario mediante integrale pagamento degli importi dovuti, prevedendo anche una riduzione di pena.
Costoro, avendo riportato condanna ma non applicazione di misura accessoria, potranno ora avere accesso ai finanziamenti.
Il via libera, infine, pare doversi riconoscere a chi abbia patteggiato il reato tributario, laddove la pena irrogata non superi i due anni di reclusione. La Corte di cassazione, terza sezione penale, con la sentenza recente 1439/2020 ha infatti escluso anche in tale caso la possibilità di infliggere le pene accessorie, ritenendo che l'art. 445, comma 1, cpp, secondo cui l'applicazione su richiesta di pena detentiva inferiore ai due anni non comporta la condanna alle pene accessorie, debba valere anche per la materia penal tributaria.
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