Niente condanna per l’Iva omessa dall’imprenditore con l’acqua alla gola
Niente condanna per l’Iva omessa dall’imprenditore con l’acqua alla gola
La corte di cassazione recepisce la novella della riforma fiscale dei reati tributari: massimo rilievo all’esimente della crisi di liquidità

di di Dario Ferrara 26/07/2024 02:00

Stop alla condanna per omesso versamento Iva a carico dell’imprenditore trovatosi con l’acqua alla gola per il fallimento del monocommittente. Ciò perché alle deduzioni difensive sull’impossibilità concreta di pagare le imposte va attribuito il «massimo rilievo» dopo che la riforma fiscale, con decreto legislativo 14 giugno 2024, n. 87, ha introdotto una causa di non punibilità per la crisi di liquidità non transitoria, dovuta all’inesigibilità dei crediti per l’accertata insolvenza di terzi o il mancato pagamento da parte delle pubbliche amministrazioni. Il beneficio vale anche per l’omesso versamento di ritenute non certificate. Così la Corte di cassazione penale, sezione terza, nella sentenza n. 30532 del 27/07/2024.

Riscontro importante

Il ricorso dell’imputato è accolto mentre il sostituto pg concludeva per l’inammissibilità. Sbaglia la Corte d’appello a confermare la condanna pur ammettendo che possono «comprendersi» le cause della crisi di liquidità della srl. La piccola impresa opera all’interno dello stabilimento di un colosso industriale, poi finito in default, curando gli interventi sugli impianti: si iscrive al passivo della fallita per 600 mila euro ed è proprio la dichiarazione d’insolvenza a bloccare le azioni legali per il recupero crediti.

Nell’omesso versamento Iva, l’emissione della fattura anteriore al pagamento del corrispettivo espone il contribuente per sua scelta all’obbligo di versare comunque l’imposta: non si può dunque dedurre il mancato pagamento né lo sconto bancario della fattura come causa di forza maggiore o di mancanza dell’elemento soggettivo del reato. Altrettanto vale se l’imprenditore sceglie di pagare le retribuzioni e non le imposte: non è scriminato dall’articolo 51 Cp.

In passato, ad esempio, la Cassazione ha già annullato la condanna per la crisi di liquidità dovuta a insoluti pari al 43 % del fatturato. E bisogna verificare se l’imprenditore ricorre al credito per le falle. Il tutto, osservano i giudici di legittimità, mentre la crisi di liquidità trova «un importante riscontro nel diritto positivo» con la causa di non punibilità prevista dalla riforma, che scatta solo se non ci sono azioni esperibili per superare l’impasse.

Motivazione illogica

Pesa, nella specie, la testimonianza dell’impiegata amministrativa dell’azienda monomandataria: l’imprenditore ricorre allo sconto bancario delle fatture per pagare non soltanto le retribuzioni ma anche i contributi. Il tutto perché in caso d’irregolarità nel documento unico, il Durc, non avrebbe potuto più operare nell’indotto del colosso industriale. I documenti prodotti dall’imputato mettono in crisi la motivazione della sentenza secondo cui non si capisce se il default del colosso abbia «determinato il mancato pagamento dei crediti oppure una crisi delle commesse»: trova ingresso la censura della difesa secondo cui «entrambe le cause hanno concorso a svuotare le casse della srl».

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