Moda, l’importanza del sociale
Moda, l’importanza del sociale
Indagine Ipsos: la sostenibilità non è solo ambientale, i brand devono cambiare narrazione. Cresce il second hand. Negozi e mercatini i canali preferiti

di di Elena Galli 13/07/2024 02:00

Ormai la sostenibilità è diventata un imperativo anche per la moda, e pure per chi, come la cinese Shein, ha fatto del fast fashion la sua chiave di sviluppo. Nei giorni scorsi ha occupato le pagine dei giornali la notizia che l’e-tailer stanzierà in totale 250 milioni di euro nei prossimi cinque anni per lo sviluppo di progetti green in Europa. Un modo, forse, per allontanare le critiche su pratiche di produzione non sempre eco-sostenibili.

La sostenibilità è un tema collettivo

Ma sostenibile significa anche second hand, seconda mano: settore in forte crescita, che comprende sia la vendita sia lo scambio di abiti e accessori e che potrebbe anche influenzare in futuro le strategie della moda. Una moda che, secondo l’indagine Ipsos «Second hand, first choice?», realizzata in collaborazione con Humana People to People, «ha collegato la sostenibilità principalmente a materiali e risvolti ambientali e meno a implicazioni sociali». E che «ci ingaggia individualmente», mentre la sostenibilità «è un tema collettivo». Una moda, inoltre, che «è emozione, ma il second hand ci dimostra che le azioni quotidiane sono fortemente pragmatiche». L’indagine Ipsos suggerisce quindi di «ampliare la prospettiva sulla sostenibilità», di innescare «un cambiamento di visione più di comunità». E di «cambiare la narrazione, passando dalla teoria alla pratica».

Suggerimenti preziosi per i brand, dal lusso al mass market, che hanno da tempo scoperto il second hand con motivazioni diverse, secondo i consumatori interpellati da Ipsos: costi più accessibili per chi compra (27%), sfruttare il trend per fare più profitto (22%). Ma anche perché hanno a cuore l’ambiente (21%) e vogliono parlare al target più giovane (20%).

Un consiglio per i brand: buttarsi sul sociale

«Il messaggio della sostenibilità è stato percepito. Il consumatore riconosce il tema soprattutto per quanto riguarda gli aspetti ambientali, che sono quelli più e meglio comunicati», ha sottolineato Silvia Andreani, client officer luxury fashion and beauty di Ipsos Italia. «Ma la sostenibilità è anche sociale e riguarda per esempio la salute dei lavoratori o i rischi della over-produzione. Sostanzialmente, il second hand ci dimostra come le persone, quando si tratta di fare azioni concrete, le fanno se viene loro raccontato un beneficio reale: risparmio, durevolezza, accesso a capi altrimenti inaccessibili sia perché appartenenti a collezioni passate sia per costi proibitivi. Benefici che sono personali ma hanno anche un risvolto di tipo collettivo». Quali sono i suggerimenti per i brand che vendono o vogliono vendere second hand? «Buttarsi sul sociale; cercare di chiarire in maniera trasparente perché vendono second hand, esplicitando il motivo con dati concreti, come per esempio quelli sul risparmio di CO2; guidare il consumatore, che spesso si sente smarrito, nel processo di acquisto», ha aggiunto Andreani.

Il second hand, un segmento destinato a crescere ancora

Quello del second hand è un segmento destinato a crescere ancora. Così almeno crede il 66% degli intervistati, mentre il 48% ritiene che acquisterà second hand in futuro. E se, secondo l’indagine Ipsos, in Italia il 74% delle persone si dichiara interessato alla moda sostenibile, senza alcuna differenza tra le diverse generazioni, il mercato del second hand ha come attore principale la GenZ, al primo posto per percentuale di acquirenti (26%) e di venditori (10%). Dall’indagine emerge inoltre che il 29% degli intervistati dichiara di essere attivo nella vendita dei propri capi di abbigliamento, mentre il 47% si dedica esclusivamente all’acquisto. La maggior parte degli acquisti riguarda abbigliamento (72%), borse (27%) e scarpe (22%) e per il 63% riguarda marchi non di lusso. I negozi fisici, i mercatini e le fiere sono i canali di acquisto preferiti (79%). Seguono a una certa distanza gli acquisti online (39%) e le piattaforme come Vinted (31%). Il primo motivo che fa propendere all’acquisto di un indumento di seconda mano è il risparmio (69%), mentre ciò che maggiormente blocca è un pregiudizio sull’igiene (55%). In generale, l‘indagine mostra «un fruitore del second hand interessato a evitare sprechi (54%), desideroso di dare nuova vita e storia ai propri abiti (46%) e a guadagnare dalla vendita di un capo usato (28%). Un consumatore che, però, non sa ancora dove comprare second hand (21%), incerto sulle sue scelte (20%) e preoccupato per il fitting del capo usato (19%)».

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