Quello che finora è stato il regno incontrastato della radio si sta pian piano trasformando nel campo di battaglia in cui per il mezzo è più difficile competere. Parliamo dell'auto, il luogo con il massimo dell'ascolto radiofonico: le ultime rilevazioni di Ter-Tavolo editori radio dicono che nel giorno medio gli ascoltatori in automobile sono 25,7 milioni, numero in calo ma pur sempre il più alto rispetto agli altri luoghi di fruizione. Eppure, il rischio è già palese: sistemi di entertainment connessi, la presenza anche in auto delle piattaforme streaming audio e l'impreparazione del comparto radio ad affrontare questo nuovo ambiente competitivo stanno giocando a sfavore del mezzo.
Manca il tasto ma anche l’icona
«La radio è difronte a una concorrenza impari», spiega Massimo Lualdi, fondatore di Consultmedia, che si occupa di consulenza strategica per gli editori radio e tv. «Basti pensare che sui sistemi delle principali auto il logo Spotify è preinstallato, mentre quello della radio no. All’interno dei sistemi nativi Apple CarPlay e Android Auto non vi è generalmente un aggregatore radiofonico, solo in rari casi si trovano TuneIn – come su Tesla – o Audials – su Volkswagen-Audi, in altri casi è l'automobilista che deve scaricare sul proprio smartphone l'app per ascoltare la radio che desidera o, appunto, un’app aggregatrice di flussi radiofonici».
Se ci fosse un'icona radio (che rimanda a un aggregatore), sulla mancanza di un tasto fisico per Fm e Dab si potrebbe anche soprassedere: i ricevitori attuali sono in grado di cambiare modalità di ricezione, scegliendo quella migliore senza che l'ascoltatore se ne accorga (Dab/Ip/Fm). Così però non è.
È il tema della prominence: per la tv l'Agcom ha già emanato un regolamento che obbliga i produttori di televisori ad avere nella home page del dispositivo un'icona che riporti alle trasmissioni via etere, mentre un altro provvedimento è in stand by, quello che riguarderà le applicazioni streaming dei broadcaster. Per la radio, invece, ancora non si è mosso niente.
Centinaia di migliaia di canali
Anche ottenuta una norma del genere, per la radio si pongono poi tutta una serie di altre questioni: con l'Fm al massimo ci si trovava a scegliere su una cinquantina di emittenti, con il Dab si arriva anche a 200 ma con gli aggregatori online si parla di centinaia di migliaia di canali (TuneIn ne ha 110 mila). «A questo punto è indispensabile che ci siano criteri di preselezione», prosegue Lualdi, «come è avvenuto con la numerazione Lcn della televisione. Il criterio più logico, secondo me, è quello proxy: dare priorità alle emittenti più vicine all'utente, attraverso la geolocalizzazione, ordinandole poi a partire dalle nazionali a quelle locali. In ogni caso la prominence non deve rinnovare o estendere rendite di posizioni broadcast: deve avere prima di tutto la finalità di semplificare la vita dell'utente. Non è facile, sono obblighi da imporre a tutti gli aggregatori e a tutte le liste delle case automobilistiche: per questo la regolamentazione non può riguardare soltanto il nostro Paese. Però aggiungo una considerazione: in auto si utilizzeranno sempre più i comandi vocali per scegliere cosa ascoltare; quindi, l’attenzione primaria va alle denominazioni».
Serve un buon nome
I nomi stanno acquisendo un valore strategico molto più importante rispetto al passato: finché si tratta di brand nazionali o locali molto conosciuti, la possibilità di essere richiamati dagli utenti resta alta, ma per tutto il resto dell'offerta non avere un nome che rispecchi la programmazione o la propria peculiarità può significare non emergere dal mare magnum.
A cascata, c'è poi la questione dei database nei quali questi nomi, i loghi delle emittenti e altri elementi di identità (i cosiddetti codici PI) sono registrati: archivi in capo ad aggregatori o società fornitrici delle case automobilistiche, in cui si concentrano i dati di emittenti di tutto il mondo, le relative omonimie ed errori, per cui non è affatto inusuale che si richiami una radio e il sistema ne faccia ascoltare un'altra. Si calcola che a oggi esistano 105 di questi database: c'è un sistema di uniformazione delle piattaforme, ma in realtà le case automobilistiche si muovono finora in maniera sparsa e alle emittenti non resta che verificare di volta in volta.
«Finora il settore radio non ha avuto sensibilità su questi temi perché il problema non esisteva in questa misura», conclude Lualdi. «Oggi la situazione è molto diversa: non si tratta soltanto di regolamentazione, anche le radio devono fare la loro parte».