Impresa familiare senza steccati
Impresa familiare senza steccati
Anche i conviventi di fatto possono lavorare nell’azienda del compagno/a. Per la Corte costituzionale i diritti al lavoro e alla giusta retribuzione non ammettono eccezioni

di di Daniele Cirioli 26/07/2024 02:00

C’è impresa familiare anche tra conviventi di fatto. Il diritto al lavoro e alla giusta retribuzione, infatti, sono diritti fondamentali che non ammettono eccezioni e richiedono uguale protezione in ogni contesto. Quindi non solo nella famiglia fondata sul matrimonio e nelle unioni civili, ma anche nella famiglia di fatto. Lo stabilisce la Corte costituzionale nella sentenza 148/2024, dichiarando illegittime le norme del codice civile (art. 230-bis, comma 3, e 230-ter) che, finora, hanno precluso al convivente di lavorare a pieno titolo nell’azienda del compagno.

Le differenze tra unioni civili e convivenze

La questione di legittimità era stata posta dalle S.U. civili della Cassazione, sulle norme che escludono il convivente more uxorio dal novero dei familiari abilitati a prestare lavoro nell’impresa familiare. La legge n. 76/2016 (c.d. Cirinnà) ha introdotto e disciplinato le «unioni civili» e le «convivenze di fatto»: le prime possibili solo tra persone dello stesso sesso; le seconde tra persone dello stesso o di sesso diverso.

In merito all’impresa familiare, la legge Cirinnà ha voluto la completa equiparazione dei partner al coniuge solo per le unioni civili, con il riconoscimento di tutti i conseguenti diritti e obblighi di natura fiscale, patrimoniale e previdenziale. Invece, per le convivenze ha attribuito al convivente «che presti stabilmente la propria opera all'interno dell'impresa dell'altro convivente» il diritto di «partecipazione agli utili dell’impresa familiare e ai beni acquistati con essi, nonché agli incrementi dell'azienda, anche in ordine all'avviamento, commisurata al lavoro prestato», a meno che non sussista già tra le parti un rapporto di subordinazione o di società.

La decisione della Corte costituzionale

Per la Corte costituzionale quanto stabilito dalla legge Cirinnà è foriero di disuguaglianza tra cittadini. La convivenza more uxorio, spiega, costituisce un rapporto entrato nell’uso e comunemente accettato, accanto a quello fondato sul vincolo matrimoniale.

Questa trasformazione della coscienza e dei costumi sociali, comunque, non autorizza la perdita delle caratteristiche dei due modelli. Infatti, la diversità tra famiglia di fatto e famiglia fondata sul matrimonio, a motivo dei caratteri di stabilità, certezza, reciprocità e corrispettività dei diritti e doveri che nascono soltanto da tale vincolo, giustificano un differente trattamento normativo tra i due casi che trova il fondamento costituzionale nella circostanza che il rapporto coniugale riceve una tutela diretta dall’art. 29 della Costituzione.

Ma quando si tratta di diritti fondamentali, queste differenze retrocedono fino a scomparire per lasciare posto a una tutela che non può che essere la stessa, come già successo, ad esempio, sul diritto all’abitazione (sentenza n. 404/1988) o sul diritto alla cura di soggetti disabili (sentenza n. 213/2016) o sul diritto all’affettività delle persone detenute (sentenza n. 10/2024). A proposito dell’impresa familiare, in gioco ci sono il diritto al lavoro e il diritto alla giusta retribuzione: anch’essi diritti fondamentali che, pertanto, meritano tutela e protezione in qualunque contesto.

Gli effetti della decisione sui contributi Inps

Corollario della sentenza sarà il via libera all’iscrizione all’Inps del convivente di fatto, come collaboratore o coadiuvante familiare. Possibilità finora preclusa dall’Inps (circolare 66/2017, su ItaliaOggi del 4 aprile 2017) e anche dall’Inl (nota n. 879/2023), in attesa proprio di questo pronunciamento giurisprudenziale.

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