Giro di vite sulle società partecipate
Giro di vite sulle società partecipate
Gli enti locali possono assumere direttamente la gestione di attività imprenditoriali solo se (e in quanto) siano in grado di farlo a condizioni più favorevoli di quelle offerte dal mercato

di di Francesco Cerisano 29/07/2022 07:42

Giro di vite sulle società partecipate. Anche quando sia consentita agli enti locali, la possibilità di costituire (o partecipare a) una società per lo svolgimento di attività ammesse dal Testo unico Madia (dlgs 175/2016), le amministrazioni non possono sottrarsi all'onere rafforzato di motivazione previsto dall'art 5 del Tusp perché «gli enti territoriali possono assumere direttamente la gestione di attività imprenditoriali solo se (e in quanto) siano in grado di farlo a condizioni più favorevoli di quelle offerte dal mercato». A richiamare gli enti a un esatto adempimento degli obblighi previsti dal Testo unico delle società partecipate è la Corte costituzionale con la sentenza n.201/2022, depositata ieri in cancelleria e redatta dal giudice Luca Antonini.

La Consulta ha dichiarato parzialmente illegittimo l'articolo 3, comma 2, della legge della regione Sicilia 26 maggio 2021, n. 12 (Norme in materia di aree sciabili e di sviluppo montano), là dove consentiva ai comuni della Regione, in relazione allo sviluppo delle località montane e delle relative aree sciabili, di costituire o partecipare a società per un indefinito e quindi eccessivo insieme di finalità e attività. Tutto ciò in aperto contrasto con il Testo Unico che, attraverso un doppio vincolo, di scopo e di attività, punta a contrastare l'aumento ingiustificato delle partecipazioni pubbliche.

La Corte ha ricordato come le norme restrittive del Testo unico Madia siano originate dall'esigenza di porre un freno al fenomeno delle società a partecipazione pubblica, sviluppatosi nel corso degli anni in maniera esponenziale, “con amministrazioni che vi avevano fatto ricorso in modo indiscriminato, anche per lo svolgimento di attività non riconducibili ai loro fini istituzionali”. Un abuso che ha avuto l'effetto di “chiudere, senza ragione, alla concorrenza determinati mercati, molto spesso senza rispetto dei criteri di economicità ed efficienza, con conseguenti gravi disavanzi e oneri per la finanza pubblica”. Di qui la genesi dell'art.4 comma 1 che ha fatto divieto alle amministrazioni pubbliche di costituire, direttamente o indirettamente, “società aventi per oggetto attività di produzione di beni e servizi non strettamente necessarie per il perseguimento delle proprie finalità istituzionali, né acquisire o mantenere partecipazioni, anche di minoranza, in tali società». Oltre al vincolo di scopo di cui al comma, il comma 2 dell'art. 4 ha introdotto un vincolo di attività, ammettendo soltanto le società che svolgono «esclusivamente» le attività espressamente indicate, ovvero: a) produzione di un servizio di interesse generale, ivi inclusa la realizzazione e la gestione delle reti e degli impianti funzionali ai servizi medesimi; b) progettazione e realizzazione di un'opera pubblica sulla base di un accordo di programma fra amministrazioni pubbliche; c) realizzazione e gestione di un'opera pubblica ovvero organizzazione e gestione di un servizio d'interesse generale attraverso un contratto di partenariato pubblico-privato; d) autoproduzione di beni o servizi strumentali all'ente o agli enti pubblici partecipanti o allo svolgimento delle loro funzioni; e) servizi di committenza.

La legge siciliana impugnata dalla presidenza del consiglio dei ministri consentiva invece ai comuni di costituire o partecipare a società che avessero come oggetto sociale il perseguimento di un novero molto amplio di attività meramente imprenditoriali e commerciali, non solo non strettamente necessarie per il perseguimento delle finalità istituzionali municipali, ma anche diverse da quelle tipizzate nell'art. 4, comma 2, del Testo unico. Di qui l'illegittimità costituzionale della norma che, “ponendo un criterio alternativo a quello fissato dal legislatore statale con l'art. 4, commi 1 e 2, Tusp, viola l'evocato art. 117, terzo comma, Cost”.

Tuttavia, hanno osservato i giudici delle leggi, tale contrasto non ha determinato l'illegittimità costituzionale dell'intera norma regionale impugnata, “poiché l'ampio insieme delle attività per le quali ai comuni è consentito costituire o partecipare a società per valorizzare le aree sciabili e lo sviluppo montano ne ricomprende anche una considerata in maniera espressa dallo stesso art. 4 Tusp, ossia la partecipazione, anche minoritaria, a società per la realizzazione e la gestione di tali impianti di risalita.

In ogni caso, ha chiarito la Consulta la puntuale decisione di avvalersi di una società pubblica per lo svolgimento di tale attività dovrà essere analiticamente motivata secondo quanto dispone l'articolo 5 del TUSP, perché «gli enti territoriali possono assumere direttamente la gestione di attività imprenditoriali solo se (e in quanto) siano in grado di farlo a condizioni più favorevoli di quelle offerte dal mercato».

La norma regionale siciliana, infatti, “non determina l'inapplicabilità degli oneri di motivazione analitica richiesti dall'art. 5 Tusp che impongono di motivare analiticamente il rispetto del vincolo di scopo pubblico «evidenziando le ragioni e le finalità che giustificano tale scelta, anche sul piano della convenienza economica e della sostenibilità finanziaria nonché di gestione diretta o esternalizzata del servizio affidato» e dando conto anche «della compatibilità della scelta con i princìpi di efficienza, di efficacia e di economicità dell'azione amministrativa».