Dipendenti e autonomi sempre più vicini. Questo sia per lo smart working, che ha cambiato i metodi di lavoro, sia per la nascita di nuovi profili ibridi, a metà tra le due tipologie di occupazione. Serve, quindi, una nuova normativa sul lavoro, adatta alle transizioni della società. È l'opinione di Marina Calderone, presidente del Consiglio nazionale dei consulenti del lavoro (Cno), espressa nel giorno di apertura del Festival del lavoro.
Domanda. Presidente Calderone, il festival quest'anno è dedicato alle transizioni della società. Qual è lo scenario che dobbiamo attenderci nel prossimo futuro?
Risposta. Uno scenario dai contorni ancora sfocati perché la pandemia e la conseguente rivoluzione tecnologica ci stanno traghettando verso inediti orizzonti, ma si intravedono anche grandi opportunità. In un momento di grande difficoltà a livello internazionale quale quello che stiamo vivendo, è inevitabile che la paura prenda il sopravvento. E allora il Festival del lavoro diventa un'occasione importante per mettere al centro la conoscenza prima di tutto e per aprirsi al dialogo e al confronto con tutti gli interlocutori. Una delle sfide è quella di rendere tale transizione sostenibile da un punto di vista economico e sociale, mettendo tutti gli attori coinvolti nelle condizioni di salvaguardare la propria occupabilità.
D. Il post pandemia ha visto un ampio numero di lavoratori dare le dimissioni o cambiare attività per migliorare le proprie condizioni di vita. Come si devono comportare le aziende per invertire questo trend?
R. La pandemia ha ridisegnato la scala delle priorità degli italiani. L'ampio ricorso alle dimissioni volontarie e l'elevato numero di lavoratori che sta attivamente cercando una nuova occupazione sono parte di un fenomeno da attenzionare, soprattutto da parte delle imprese. A livello più generale, centrale è il tema della mancata crescita degli ultimi 20 anni che ha riflessi rilevantissimi sul lavoro e sulle aspettative dei tanti lavoratori. La mancata dinamica ascendente dei salari, ma ancora di più delle carriere e dei percorsi professionali, genera un senso diffuso di frustrazione tra i lavoratori, soddisfatti solo a metà del proprio lavoro. Attenzione, però, che solo il 30,2% di chi ha cambiato lavoro è molto soddisfatto della nuova situazione, mentre il 32,1% lo è poco o per nulla.
D. Altra rivoluzione nel mondo del lavoro portata dalla pandemia è lo smart working. A che punto è la regolamentazione in Italia? Secondo lei è necessario un intervento del legislatore sul tema?
R. Come emerso dall'indagine di Fondazione studi, molti lavoratori “agili” ritengono lo smart working una modalità che funziona, ma perché diventi un'opportunità per il futuro deve essere ben strutturato. Bisogna superare l'attuale normativa sul lavoro, progettata e realizzata in un momento in cui i confini tra lavori – dipendente da un lato e autonomo dall'altro – erano molto più chiari e definiti. Negli ultimissimi anni ci siamo confrontati con l'emergere di profili del tutto nuovi, sempre più a metà strada tra l'autonomo e il dipendente. La realtà porta al superamento di tali modelli, mentre la politica e la giurisprudenza, continuano a ragionare con paradigmi divenuti vecchi e inattuali. Pensiamo a tutto il dibattito sullo smart working, all'enfasi (anche corretta) posta sul tema del diritto alla disconnessione. Sacrosanto il diritto del lavoratore a non essere permanentemente connesso, ma è chiaro che più si consolida questo nuovo modo di lavorare e più si accentuano i tratti di autonomia, responsabilità, tipici del lavoratore autonomo.
D. Nelle ultime settimane si è parlato molto di salario minimo, dopo l'accordo sulla direttiva Ue. In Italia la norma è ferma da mesi in Parlamento. Cosa pensa dell'introduzione per legge di un minimo salariale?
R. La direttiva non avrà un impatto decisivo su un Paese come l'Italia in cui la determinazione dei salari per una quota superiore all'80% dei lavoratori è garantita dalla contrattazione collettiva, esentandoli dall'obbligo di introdurre un salario minimo legale. Il tema del lavoro povero in Italia è strettamente correlato a quello del lavoro irregolare e l'introduzione del salario minimo rischia di spostare verso l'area dell'irregolarità i lavoratori border line, o di promuovere forme di elusione come le finte partite iva, lavoro cooperativo, il dilagare dei tirocini e del finto lavoro contrattuale. Da non trascurare poi il fatto che al Mezzogiorno, dove il costo della vita è più basso, l'introduzione del salario minimo rischia di amplificare ancora di più i fenomeni di irregolarità del lavoro. Per arginare il fenomeno del dumping contrattuale potrebbe risultare utile incrementare, semmai, i controlli ispettivi e dare effettività alla centralità del livello aziendale e decentrato della contrattazione, insistendo con la detassazione del salario variabile e la decontribuzione del salario di produttività.