Battuta d’arresto per le pmi. E il futuro non promette bene
Battuta d’arresto per le pmi. E il futuro non promette bene
Netta inversione di tendenza per le piccole e medie imprese italiane, nel 2023. Crescono le chiusure (+33,3%) e non le nascite (-2,3%). Aumentano i ritardi gravi nei pagamenti. E il prossimo biennio non fa ben sperare. Le principali tendenze del Rapporto Cerved 2023

di di Roxy Tomasicchio 27/11/2023 07:52

Netta inversione di tendenza per le pmi italiane, nel 2023. E il prossimo biennio non fa ben sperare. Dopo un 2022 caratterizzato da poche chiusure e fatturati in crescita (+6,1% soprattutto per effetto delle piccole imprese), nel primo semestre di quest'anno, i dati sulla demografia d'impresa e le abitudini di pagamento hanno messo in evidenza situazioni di difficoltà. Non nascono nuove imprese (-2,3% su base annua), con una contrazione particolarmente significativa di srl semplificate (-7,9%) e nel settore dell'edilizia (-8%). Al contrario, per la prima volta dal 2019, aumentano le imprese che chiudono i battenti (+33,3%), con un aumento del 25,2% per i fallimenti e del 36% per le liquidazioni in bonis, soprattutto nel manifatturiero (+50,6% fallimenti, +55,4% liquidazioni).

Ad appesantire il quadro, il trend delle abitudini di pagamento: crescono non solo i ritardi, ma soprattutto i ritardi definiti gravi (oltre due mesi dopo il termine pattuito), che raggiungono il 3,2%, e i mancati pagamenti (dal 9% del giugno 2022 al 10% del giugno 2023). Ma un segnale positivo c'è: riguarda la possibilità di risanamento, che, su oltre 22 mila pmi a rischio, è ottima nel 24% dei casi e buona nel 52%.

Che cosa dice il rapporto Cerved

Sono alcune delle tendenze messe nere su bianco nel Rapporto Cerved Pmi 2023, secondo cui a trainare verso questa nuova rotta sono, tra l'altro, l'inflazione da record, la politica dei tassi di interesse delle Bce e i conflitti (non più solo quello in Ucraina, ma anche il fronte in Medio Oriente). Di conseguenza, anche in prospettiva, resta una allerta elevata, soprattutto sotto il profilo del rischio. Secondo il Cerved Group Score Forward Looking, l'indice di rischio prospettico elaborato da Cerved, pur ipotizzando uno scenario base di stabilizzazione dei prezzi e rientro dei tassi nel 2024, le pmi al sicuro potranno ridursi al 37,3% dall'attuale 41% (erano il 42,2% nel 2022); quelle rischiose, invece, salire all'8% dal 7,1%. Ipotizzando uno scenario più pessimistico, in cui gli elementi di criticità dovessero peggiorare, la quota di pmi a rischio potrà raggiungere l'8,5%, con un quinto delle aziende in area di vulnerabilità (oggi al 16,7%) e un'ulteriore riduzione (34,2%) di quelle sicure. In merito alla quota di debiti finanziari, da un lato, in uno scenario base, passerebbe dal 7,6% al 9,9%, dall'altro lato, in uno senario peggiore sarebbe del 10,3% (17% per le costruzioni, colpite dalla fine degli incentivi, con una conseguente contrazione dei ricavi: -1,8% nel 2023, -9% nel 2024, -3,6% nel 2025).

Gli indicatori economici si assottigliano. Dal Rapporto Cerved Pmi 2023, che esamina quasi 164 mila piccole e medie imprese (il 18,3% delle società che hanno depositato un bilancio valido), con 4,7 milioni di addetti e un giro d'affari superiore ai 900 miliardi di euro, emerge un ulteriore allarme. I fatturati reali delle pmi rallenteranno il ritmo rispetto al 2021-22, quando è stato registrato un +6,1% di fatturato e +3,2% di valore aggiunto. E così passeremo a +2,2% nel 2023; +1,5% nel 2024; +1,8% nel 2025.

Crescono i cattivi pagatori. Peggiorano le abitudini di pagamento, con le aziende di piccola dimensione che, a causa della maggiore pressione esercitata dalle medie e dalle grandi, devono rispettare scadenze più rigide (in media i termini sono scesi da 54,2 a 53,8 giorni). Ecco, quindi, che si registra una crescita media complessiva dei ritardi che riguarda tutte le pmi (da 7,1 a 7,4 giorni). Dopo i minimi storici del 2022 tornano poi a crescere anche i gravi ritardi (pagamenti oltre due mesi dopo il termine pattuito), con i peggioramenti più accentuati nei comparti energetico (+3,5%), agricolo (+2,8%) edilizio (+2,2%).

Non manca la possibilità di risanarsi. La crisi all'orizzonte, per fortuna, non sarà irreversibile. Integrando vari set informativi, Cerved ha sviluppato il Back-to-Bonis Score modellando una serie di algoritmi predittivi che stimano le capacità di recupero per ogni posizione deteriorata o a rischio di deterioramento: su oltre 22 mila pmi in situazioni di crisi o di forte rischio, il 24% ha ottime e il 52% buone possibilità di rientro in bonis. Evidenze simili si riscontrano per le pmi coinvolte nel Public procurement, cioè quella parte di spesa pubblica destinata all'acquisto diretto di beni e servizi (inclusi i lavori pubblici) da parte della Pubblica amministrazione. In questo caso la percentuale di risanamento è del 69,4% e tassi di uscita del 3,2%, decisamente migliori rispetto a quelle che non si sono aggiudicate appalti pubblici (58% e 7,6%). Anche il 25% delle pmi che ricevono garanzie pubbliche hanno alte probabilità di ritorno in bonis, contro il 20,8% di quelle che non hanno fatto ricorso al Fondo di Garanzia.

Ecco chi supera la crisi

L'identikit di chi supera la crisi. Cerved ha analizzato i tassi di sopravvivenza delle nuove nate nel corso della crisi pandemica, osservando come la capacità di radicarsi sul mercato sia spesso associata a determinate caratteristiche. Per esempio, le imprese a controllo familiare, dopo un anno, hanno dimostrato percentuali di radicamento molto più elevate (57,9% contro il 50,5% di media), o le aziende con un amministratore delegato esterno (60,1%), le start-up innovative (51,4%), le aziende guidate da under 35 (52,2%), ma soprattutto quelle con leadership femminile. Là dove alla guida c'è una donna, in controtendenza rispetto agli altri cluster, migliora il tasso di sopravvivenza, passando dal 57,1% del 2020 (per le nate nel 2019) al 58,2% del 2021 (per le nate nel 2020).

Gli effetti positivi del Public procurement. «Il nostro settore pubblico destina quasi il 12% del Pil in appalti pubblici per l'acquisto di beni e servizi. Si tratta di una cifra consistente che, se impiegata meglio, potrebbe offrire un contributo decisivo alla crescita e alla trasformazione del nostro sistema produttivo», ha commentato Andrea Mignanelli, amministratore delegato di Cerved, «nella nostra analisi di impatto abbiamo quantificato gli effetti positivi del Public procurement sui ricavi e l'occupazione delle oltre 50 mila pmi che ne fanno ricorso, evidenziando come gli appalti pubblici facciano la differenza soprattutto nel Mezzogiorno e tra le imprese giovani. Sull'altro versante, emerge però che gli importi pubblici non generano effetti significativi sulla produttività di chi li riceve, e sono addirittura associati a effetti negativi se allocati ad aziende rischiose. Sono circa 5 i miliardi di euro affidati nel 2022 ad aziende che hanno registrato andamenti fortemente negativi o uscite dal mercato. La nostra analisi», ha concluso l'a.d., «conferma quindi la necessità di adottare approcci più selettivi quando si valuta a chi affidare commesse pubbliche, così da evitare sprechi di risorse e favorire imprese capaci di garantire impatti trasformativi sul nostro sistema economico».