Il marito risarcisce la ex perché le ha fatto vivere «dieci anni di terrore».
Non conta che la sentenza di condanna dell'uomo per maltrattamenti contenga una generica statuizione sul ristoro dei danni: la pronuncia del giudice penale, una volta divenuta irrevocabile, preclude ogni valutazione sul “se” della responsabilità di fronte al giudice civile.
Né rileva che il giudice penale nel rinviare al collega civile osservi che non siano stata raggiunta in quella sede la piena prova dei danni subiti: sul punto, infatti, non si pronuncia con efficacia di giudicato.
Così la Cassazione nell'ordinanza 30992/23, pubblicata dalla terza sezione civile.
Vaglio critico. Diventa definitiva la condanna a risarcire 50 mila euro alla moglie, vittima del reato di lesione personale oltre che di quello ex articolo 572 Cp. Non giova all'uomo lamentare che il giudicato formatosi sulla sentenza penale si sarebbe limitato al fatto-reato e non sul danno subito dalla vittima. Investito della domanda di risarcimento del danno da reato, il giudice civile ben può utilizzare le prove raccolte in un giudizio penale definito con sentenza passata in giudicato. Il tutto senza averne l'obbligo e come fonte del proprio convincimento, in modo da fondare la propria decisione su elementi e circostanze già acquisiti con le garanzie di legge nel precedente giudizio: il magistrato civile deve dunque procedere con pienezza di cognizione così da accertare i fatti materiali all'esito del proprio vaglio critico.
Immagine icastica. È escluso l'obbligo di rinnovare l'istruttoria, che è prescritto dalla Corte europea dei diritti umani solo nel penale quando si vuole riformare l'assoluzione pronunciata in primo grado: il tutto secondo la regola di giudizio «al di là di ogni ragionevole dubbio». Nel giudizio risarcitorio civile, che verte invece sul nesso causale fra la condotta illecita e il danno, vale la diversa regola probatoria del «più probabile che non». E «l'evidente gravità» delle condotte dell'uomo consentono di presumere la «notevolissima sofferenza morale» oltre che fisica: la donna in una lite riporta la frattura del setto nasale. I «dieci anni di terrore» non sono «frutto dell'inventiva del Tribunale» ma un'«immagine icastica» del «lunghissimo periodo di condotte delittuose» dell'uomo.
Il testo della decisione su www.italiaoggi.it/documenti-italiaoggi