No alle ruspe in azione per motivi burocratici
No alle ruspe in azione per motivi burocratici
Non può esserci la demolizione solo perché nella Dia manca la documentazione tecnica esplicativa: il principio del soccorso istruttorio salva l'opera. E il comune può chiedere una documentazione integrativa. La posizione del Tar Lombardia e i precedenti

di Pagine a cura di Dario Ferrara 28/09/2020 08:08

Ruspe e picconi non possono entrare in azione soltanto per motivi burocratici. Altro che demolizione: il principio del soccorso istruttorio salva il cancello realizzato dai privati, sia carraio sia pedonale. È vero: in alcuni dei documenti presentati per la denuncia di inizio attività edilizia manca la rappresentazione grafica delle opere, che tuttavia risultano comunque denunciate al comune. Che non può ordinare di abbattere il manufatto sul mero rilievo che manchi il singolo documento. L'ente locale, d'altronde, ha il dovere di esaminare tutte le carte presentate e di chiedere al privato eventuali integrazioni: lo impone lo stesso principio costituzionale di buon andamento dell'amministrazione pubblica. Risultato? Spirato il termine di 30 giorni, la Dia si è ormai consolidata e il comune avrebbe dovuto procedere al ritiro in autotutela per emettere l'ordine di abbattere i manufatti. È quanto emerge dalla sentenza 1470/20, pubblicata il 30 luglio dalla seconda sezione del Tar Lombardia.

Il caso. Il ricorso dei proprietari è accolto perché l'amministrazione esercita un potere inibitorio che risulta ormai esaurito né ricorre all'autotutela, procedimento che tuttavia richiede altri presupposti. Gli uffici del comune devono controllare tutti i documenti e non limitarsi a leggere la relazione riassuntiva del progetto. È escluso che si possa ingiungere al privato di abbattere i manufatti solo perché nella Dia manca la documentazione tecnica esplicativa, la quale pure risulta prevista dal regolamento edilizio. La necessità di chiedere al privato di integrare la pratica è indicata dall'articolo 20, comma quinto, del testo unico per l'edilizia. Il termine di cui al comma terzo della disposizione, vale a dire «entro sessanta giorni dalla presentazione della domanda», «può essere interrotto una sola volta dal responsabile del procedimento, entro 30 giorni dalla presentazione della domanda, esclusivamente per la motivata richiesta di documenti che integrino o completino la documentazione presentata e che non siano già nella disponibilità dell'amministrazione o che questa non possa acquisire autonomamente. In tal caso, il termine ricomincia a decorrere dalla data di ricezione della documentazione integrativa». La norma risulta dettata per il rilascio del permesso di costruire ma è applicabile a tutti i titoli edilizi: all'amministrazione spetta il soccorso istruttorio nei confronti dei soggetti che chiedono il rilascio dell'autorizzazione. E dunque è tenuta a rendere conoscibili ai cittadini gli adempimenti necessari per ottenere i provvedimenti e le prestazioni di sua competenza e ad acquisire d'ufficio i documenti già in possesso dei vari uffici. Di più: risulta vietato aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell'istruttoria.

Senza dimenticare che è il principio di trasparenza ex articolo 97 della Costituzione a imporre all'ente di facilitare l'attività amministrativa che condiziona l'esercizio di diritti dei cittadini. Sull'ente pubblico, insomma, grava un preciso obbligo di assistenza ai privati: è infatti l'amministrazione che produce e conosce le norme di azione che si applicano anche ai terzi e risulta allora tenuta a mettere a disposizione le sue conoscenze.

Nessun dubbio che anche il privato interessato debba dichiarare tutti gli elementi a sua conoscenza per consentire all'ufficio di svolgere le relative funzioni. Ma non basta la mancata rappresentazione dei lavori nella relazione tecnica esplicativa, e quindi una documentazione incompleta, a provare l'omissione da cui può desumersi il tentativo di ingannare l'amministrazione. È lo stesso comune, nella specie, a riconoscere che i cancelli incriminati sono stati denunciati nella Dia. Insomma: nel nostro caso il potere inibitorio si è ormai esaurito una volta decorsi i 30 giorni dalla presentazione della denuncia funzionali all'attività di verifica.

I precedenti. Attenzione, però: anche la giurisprudenza di Strasburgo può evitare al privato di dover abbattere il manufatto a causa dei tempi lunghi della burocrazia. Si salva dalla demolizione il vano cucina rivelatosi abusivo se all'epoca della ristrutturazione il comune nulla ha obiettato sulla regolarità dei lavori che hanno cambiato la distribuzione degli spazi interni all'immobile. A quasi trent'anni dai fatti, e di fronte a un manufatto di modeste dimensioni, l'amministrazione locale è tenuta a motivare l'interesse pubblico al ripristino della legalità visto che potrebbe essersi ingenerato un legittimo affidamento in capo al privato. E ciò perché, ricorda la sentenza 513/19, pubblicata dal Tar di Reggio Calabria, la Corte europea dei diritti dell'uomo raccomanda sempre di verificare caso per caso se l'ordine di abbattere il manufatto sia proporzionato o no. Viene accolto il ricorso della nuova proprietaria dell'immobile, che peraltro non è responsabile dell'abuso edilizio. Il tutto grazie alla comunicazione di inizio lavori che risale al 1991: la vecchia cucina diventa all'epoca soggiorno, mentre l'angolo cottura risulta ricavato in un locale che ricade nel cortile di proprietà esclusiva e non affaccia sulla strada. L'incremento di volume, però, è illegittimo: lo stabilisce il sopralluogo della polizia municipale. Ma in occasione della precedente ristrutturazione l'amministrazione non rileva la natura abusiva del vano ripostiglio che oggi si vuole far abbattere. L'ente locale, insomma, conosce lo stato dei luoghi fin dai lavori di cui all'articolo 26 della legge 47/1985 e nel privato si forma un legittimo affidamento sulla regolarità delle opere. La stessa Corte di Strasburgo richiede che il giudice nazionale motivi in modo particolare sull'esercizio dei poteri dell'amministrazione che dà il via alle ruspe. Prima di ordinare una nuova demolizione, quindi, il comune deve considerare l'entità e la destinazione dell'opera oltre che il tempo trascorso.

Ancora. Il privato destinatario dell'ordine di demolizione può chiedere la sanatoria dell'opera realizzata anche dopo novanta giorni dalla notifica del provvedimento: il termine, precisa infatti la sentenza 897/18, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Piemonte, risulta fissato per l'abbattimento volontario del manufatto abusivo, mentre l'accertamento di conformità può essere domandato anche in seguito alla perenzione, a patto che non siano state irrogate sanzioni dall'amministrazione.

Sbaglia il comune a dichiarare inammissibile la domanda del privato, che peraltro è legato all'ente da una convenzione per la realizzazione di un intervento di valorizzazione agricola e ambientale: il progetto può andare avanti. Fin quando l'opera esiste nella sua integrità e il soggetto ne conserva la titolarità, è sempre possibile chiedere la sanatoria, che serve a evitare le sanzioni. Non convince l'interpretazione del comune che restringe il concetto di «irrogazione delle sanzioni amministrative» alle sole sanzioni pecuniarie. Gli articoli 31 e seguenti del testo unico dell'edilizia si riferiscono a tutte le fattispecie, compresa l'acquisizione gratuita del bene al patrimonio del comune. E dunque non rileva a quale delle ipotesi l'ente dovesse dare applicazione. Nel nostro caso conta solo che l'amministrazione non abbia portato a termine il procedimento sanzionatorio, accertando l'inottemperanza all'ordine di demolizione e la conseguente acquisizione gratuita del bene al patrimonio dell'ente: il termine per chiedere la sanatoria, dunque, non era ancora scaduto e l'ufficio avrebbe dovuto pronunciarsi nel merito della domanda. Niente demolizione per abusivismo, infine, anche se il proprietario dell'immobile non ha ancora ritirato il titolo edilizio né pagato il contributo di costruzione al comune. La decadenza dal permesso di costruire, ricorda la sentenza 2173/17, pubblicata dalla seconda sezione del Tar Lombardia, scatta soltanto se i lavori iniziano a oltre un anno dal rilascio o si protraggono per oltre 30sei mesi: diversamente l'amministrazione non può ricorrere alle misure repressive previste per le opere contro legge.

Non saranno abbattuti i due fabbricati vicini di proprietà della srl dopo i lavori di recupero sui manufatti posti su livelli differenti. Sbaglia l'ente locale che prima concede il permesso di costruire e poi ordina «la demolizione integrale» perché non risulta che l'interessato abbia ritirato il titolo: l'articolo 15, secondo comma, del Testo unico dell'edilizia sanziona con la decadenza soltanto l'inizio e la fine dei lavori fuori dai termini di legge. Di più. Anche il mancato o tardivo pagamento del contributo di costruzione non può essere punito con il via libera alle ruspe: al massimo può scattare una sanzione pecuniaria rapportata alla somma non versata e al ritardo. E comunque il comune può tutelarsi con la riscossione coattiva.

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