Legge 231, non basta il reato
Legge 231, non basta il reato
Stop all’equazione diretta tra compimento del reato e l’inadeguatezza tout court del modello organizzativo di cui l’azienda si è dotata al fine di prevenire eventuali responsabilità ai sensi della normativa 231/01

di di Fabrizio Vedana 20/09/2022 11:05

Stop all’equazione diretta tra compimento del reato e l’inadeguatezza tout court del modello organizzativo di cui l’azienda si è dotata al fine di prevenire eventuali responsabilità ai sensi della normativa 231/01.

Pare essere questo il principale effetto che produce la decisione della corte di cassazione n. 23401/21, pubblicata il 15 giugno 2022 anche a giudizio di Assonime che alla sentenza dedica una articolata circolare in corso di pubblicazione.

Il provvedimento giudiziario, noto come caso Impregilo, delinea, a giudizio di Assonime, una vera e propria grammatica del decreto 231/01, ha il pregio di avviare una riflessione innovativa sui profili dell’autoregolamentazione e della validazione dei modelli organizzativi sul ruolo e sui compiti dell’organismo di vigilanza che vanno inquadrati esclusivamente nell’ambito di un controllo sistemico e continuativo sulle regole cautelari predisposte nel modello e sul rispetto di esse.

La vicenda giudiziaria ha ad oggetto il comportamento del presidente del consiglio di amministrazione e dell’amministratore delegato della società Impregilo che, nella ricostruzione accusatoria, avrebbero comunicato al mercato notizie false sulle previsioni di bilancio e sulla solvibilità di una società controllata, posta in stato di liquidazione, configurando, per effetto di tali azioni, l’art. 25-ter del d.lgs. 231/2001 nella parte in cui richiama il delitto di aggiotaggio. La Corte, nel confermare l’assoluzione di Impregilo per il reato contestato, effettua un’analisi più approfondita di quello che deve essere il giudizio di idoneità, stravolgendo un po’ l’approccio che le impostazioni precedenti avevano cristallizzato, in uno anche al richiesto elemento dell’elusione fraudolenta del modello 231, passando per la valorizzazione delle linee guida di settore (tra le quali quelle adottate da Confindustria), che divengono nevralgiche anche in relazione agli obblighi motivazionali del giudicante.

Pertanto, il giudice è innanzitutto chiamato ad una valutazione in concreto dell’idoneità del Modello: si rompe così, nell’idea degli ermellini, quella equazione diretta tra “compimento del reato” e “inadeguatezza” tout court del modello organizzativo di cui l’azienda si era dotata a fini preventivi.

Al contrario, la valutazione dell’idoneità del Modello a prevenire i reati della stessa specie di quelli poi contestati deve essere effettuata anche in relazione all’eventuale esistenza nella società di regole interne, codici e procedure specifiche che siano idonee a minimizzare il rischio del compimento di quello specifico reato. Nondimeno l’accertamento deve tenere da conto anche dell’esistenza di codici di comportamento redatti dalle associazioni maggiormente rappresentative e validate dal ministero della giustizia venendo a orientare la decisione del giudicante, il quale dovrà specificare espressamente quale previsione sia stata elusa dal soggetto agente, che se ne è discostato allo scopo di commettere il reato.

Per questo si rafforza il richiesto requisito di cui all’art. 6 D.lgs. 231/2001 che chiede una condotta di elusione fraudolenta del modello 231 e delle normative di secondo livello che vanno ad integrarlo e renderlo effettivo.

Nell’alveo della colpa da organizzazione, la sentenza, scrive Assonime, offre una chiara interpretazione di alcune delle più dibattute questioni emerse nel corso dei venti anni di applicazione del decreto legislativo 231/2001, in tema di (i) valutazione dell’idoneità dei modelli organizzativi; (ii) onere della prova; (iii) ruolo delle linee guida delle associazioni di categoria; (iv) ruolo e funzioni dell’organismo di vigilanza, (v) elusione fraudolenta del modello organizzativo.

In quest’ottica, chiarisce ancora Assonime, il compito dell’organismo di vigilanza deve inquadrarsi esclusivamente nell’ambito di un controllo sistemico e continuativo sulle regole cautelari predisposte nel modello e sul rispetto di esse. Si può bene dire, in conclusione, che la sentenza riabilita e dà nuova linfa all’efficacia esimente del modello 231.