L’app Immuni è stata un flop
L’app Immuni è stata un flop
Il duo Conte-Arcuri l’aveva lanciata come l’arma risolutiva per sconfiggere il coronavirus. Su di essa è ora calata una pesante coltre di silenzio

di di Cesare Maffi 23/07/2020 08:18

Sono passati tre mesi da quando Giuseppe Conte intervenne in Senato per chiarire i punti sui quali il governo s'impegnava nella lotta al virus. Fra questi, alcuni rimangono immutati, dal cosiddetto distanziamento sociale all'uso di tamponi e prove sierologiche. Del tutto diverso, invece, quella che il presidente del Consiglio definì «strategia di mappatura dei contatti sospetti», ricorrendo more solito alla superflua dizione anglica contact tracing, «e di teleassistenza, con l'utilizzo di nuove tecnologie».

Conte ne rilevò l'importanza: «L'immediatezza nell'individuazione dei contatti stretti dei casi positivi e il loro conseguente isolamento sono cruciali per evitare che singoli contagiati possano determinare nuovi focolai». Fondamentale appariva «un'adeguata applicazione informativa direttamente disponibile su smartphone». Ampio rilievo diede (e altrettanto ampia fu la ripresa dai mezzi d'informazione) alla «base volontaria e non obbligatoria»: «chi non vorrà scaricarla non subirà limitazione dei movimenti o altri pregiudizi». L'impegno era «d'implementare l'applicazione nel migliore dei modi».

Lo stesso 21 aprile il commissario Domenico Arcuri spiegò in conferenza stampa che senza tutte le misure per il tracciamento dei contagi, compresa l'app, non sarebbe stato possibile allentare i restringimenti: «Alleggerire le misure di contenimento significa essere in condizione di mappare tempestivamente i contatti. L'alternativa è semplice: le misure non possono essere alleggerite e dovremo continuare a sopportare i sacrifici di queste settimane».

Bene. Trascorsi oltre tre mesi dall'impegno assunto dalla coppia Conte-Arcuri, si direbbe che sul ricorso all'app Immuni sia sceso il silenzio. I pochi che si esprimono lo fanno per dolersi di quello che concordemente definiscono «un flop». Quando l'operazione partì, vistosamente, si individuò spesso nel 60% la percentuale di coloro che avrebbero dovuto collegarsi. Pur giostrando gli stessi propagandisti dell'app sulla base cui quella percentuale dovesse riferirsi (adesso ci si richiama soprattutto ai maggiori di 14 anni), e pur ritenendo che fra i 20 e i 25 milioni d'italiani sarebbe la cifra indispensabile, tutti concordano su un fatto. Il numero corrente di adesioni, valutato in poco più di 4 milioni (si contesta pure la circostanza che vi siano centinaia di migliaia di collegati all'inizio che non hanno completato le operazioni), è lontanissimo da quello ritenuto indispensabile.

L'entusiasmo iniziale (espresso altresì, in periferia, da Luca Zaia, convinto si dovesse renderne obbligatorio l'uso) è oggi chiaramente spompato. Del resto, perché mai un cittadino dovrebbe ricorrere a uno strumento che, in concreto, l'inviterebbe a una quarantena? Adesso i dimenticati sostenitori, costretti a prendere atto di aver avviato un progetto lontanissimo dall'arrivare in porto, vorrebbero ridursi a lanciare una nuova campagna informativa. Fra gli argomenti che potrebbero addurre ci sarebbe il sostegno dell'Oms. Visti, però, i comportamenti e i risultati del gran baraccone sanitario dell'Onu, c'è da chiedersi se non sarebbe un motivo per continuare a non collegarsi all'Immuni, decretandone di nuovo il fallimento. Una domandina: quanto è finora costata l'intera operazione?

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