Ci fu un tempo in cui le più grandi aziende veronesi erano considerate l'ospedale, le Officine grafiche Arnoldo Mondadori e l'Autogerma. A parte la prima, che clienti purtroppo ne avrà sempre, oggi la seconda è ridotta al lumicino. Sul podio resta ben salda la terza, che dal 2007 si chiama Volkswagen group Italia. Si estende su 20 ettari nella zona del Quadrante Europa e vende tutte le auto Volkswagen, Audi, Seat, koda e i veicoli commerciali Volkswagen distribuiti nel nostro Paese. Un colosso che nella classifica stilata da Mediobanca figura al 23° posto in Italia per fatturato e che nel 2019 ha totalizzato ricavi per oltre 6 miliardi di euro (+10% rispetto al 2018) e un utile netto di 47 milioni, piazzando ben 304.100 veicoli e assicurandosi una quota di mercato, nel ramo auto, del 15,4%. Alla galassia italo-tedesca appartengono per la verità anche Lamborghini e Ducati e altri quattro marchi del gruppo di Wolfsburg: Porsche (con sede a Padova), Man e Scania (veicoli industriali distribuiti rispettivamente a Verona e Trento), Italdesign (azienda fondata a Torino da Giorgetto Giugiaro).
Dal 2012 l'amministratore delegato di Volkswagen group Italia è Massimo Nordio, 61 anni, arrivato in riva all'Adige come capo del brand Volkswagen. Proveniva da Bruxelles, dove era stato vicepresidente di Toyota Motor Europe. In precedenza aveva ricoperto per un decennio gli incarichi di direttore commerciale, vicepresidente e amministratore delegato di Toyota Motor Italia. Sposato, tre figli di 32, 27 e 18 anni, laureato in Economia e commercio alla Luiss di Roma, Nordio venne a contatto con il mondo dell'auto quando lavorava nella pubblicità, alla Saatchi & Saatchi. Lì, oltre a essergli assegnate le funzioni di account per marchi famosi, quali British airways, Italcable, Saiwa e Nabisco, erano stati affidati alle sue cure anche American motors corporation, British Leyland e Renault Italia. Nel 1990 il passaggio in Ford come direttore relazioni esterne e marketing e nel 1997 il trasferimento ad Atene come presidente e amministratore delegato di Ford Grecia.
Nordio abita a Verona da 10 anni. Per lui s'è trattato quasi di un ritorno a casa, visto che i genitori Mario e Maria erano originari di Venezia. Il padre, ingegnere nucleare, contribuì a realizzare il programma per l'energia atomica in Italia, a cominciare dalla centrale di Caorso fino a quella di Montalto di Castro. Ciò spiega perché suo figlio sia venuto al mondo nel 1958 a Chivasso, nell'hinterland torinese, e la famiglia Nordio abbia poi peregrinato fra Milano, Busto Arsizio e Roma.
Anche l'Autogerma non è nata a Verona. Fu fondata a Bologna nel 1954 da Gerhard Richard Gumpert, al quale oggi è intitolata la via dove ha sede il quartier generale di Volkswagen group Italia. Giunto a Roma nel 1940, a 30 anni, come segretario di legazione dell'ambasciata tedesca, s'innamorò dell'Italia. Nel 1943 spedì una lettera a Berlino, al ministro degli Affari esteri, per convincere Adolf Hitler a fermare i rastrellamenti degli ebrei organizzati da Herbert Kappler, il tenente colonnello delle SS che comandava la Gestapo nella Capitale, responsabile dell'eccidio delle Fosse Ardeatine. Nel 1944 fece da mediatore tra il feldmaresciallo Albert Kesserling e l'8ª Armata alleata per impedire che la Repubblica di San Marino venisse distrutta dai bombardamenti. Fu anche testimone al processo di Norimberga contro l'ex ambasciatore tedesco presso la Santa Sede, Ernst von Weizsäcker.
Un giusto, Gumpert. Tant'è che per fargli ottenere il contratto di distribuzione di Volkswagen, Audi, Porsche e Nsu in Italia, dove si era stabilito dopo la Seconda guerra mondiale, intervenne il cancelliere Konrad Adenauer. Di questo spirito egli diede un'ulteriore prova nel 1974, quando il Comune di Bologna decise d'intitolare via Marzabotto la strada dove c'era la sede di Autogerma. Gli parve una provocazione sacrilega che la località di uno dei più orrendi massacri nazisti diventasse l'indirizzo dell'azienda del Maggiolino, l'«auto del popolo» voluta da Hitler nel 1937. Così si risolse a traslocare a Verona.
Ha conosciuto Gumpert?
No, perché morì nel 1987. Due anni prima aveva ceduto l'Autogerma alla nostra casa madre di Wolfsburg, che è proprietaria unica di Volkswagen group Italia.
Che idea s'è fatto di Verona in questi dieci anni?
Di una città modello, in cui la qualità della vita è eccelsa. Quando lavoravo a Roma, ero stato costretto a pianificare le telefonate lungo il percorso casa-ufficio sul Grande raccordo anulare, un'ora ad andare e un'ora a tornare. Oggi, se qualcuno mi cerca mentre vengo in sede, finisco la conversazione stando fermo nel parcheggio di via Gumpert.
Volkswagen group è la principale azienda privata cittadina. Lo è anche nella considerazione dei veronesi?
Sì. Lo noto dalla facilità di interlocuzione con le autorità locali, impensabile a Roma o a Milano. Non dimentico che nel 2015, durante la crisi del diesel, l'allora sindaco Flavio Tosi ci fu molto vicino. A punzecchiarci era solo la stampa.
Qual è il tema maggiormente impegnativo che deve affrontare?
L'elettrico. Siamo alla vigilia della più grande rivoluzione industriale da quando esiste l'automobile. La tecnologia ci consente di produrre veicoli fino a ieri inimmaginabili. La digitalizzazione cambia la società, con effetti dirompenti sul modo in cui le auto si scelgono e si vendono. Dobbiamo essere pronti a non perdere colpi, per usare un termine motoristico.
A me non verrebbe mai in mente di acquistare un'auto su Internet. Preferisco andare da un concessionario che me la descrive e me la fa provare.
Ma non può negare che informazioni, configurazioni e preventivi va anche lei a cercarli in Rete. Per renderla appetibile noi dobbiamo utilizzare Google, Youtube e Facebook. Ogni mese in Italia si vendono 200.000 automobili. Se sapessi in anticipo chi sono i possibili acquirenti, eviterei di rivolgermi a milioni di persone che manco ci pensano a cambiare vettura. Il mezzo digitale consente questa relazione individuale con il cliente.
Volkswagen ha annunciato l'intenzione di diventare il primo costruttore mondiale di veicoli elettrici entro il 2025. Obiettivo ambizioso, non crede?
Ambiziosissimo. Contiamo di raggiungerlo piazzando, entro il 2025, circa 3 milioni di esemplari della Id.3 e degli altri modelli elettrici. Entro il 2040 vogliamo vendere solo auto di questo tipo, che rappresenteranno, secondo le nostre stime, il 40% dell'intero mercato mondiale. Entro il 2050 puntiamo a ridurre a zero le emissioni di anidride carbonica anche nella produzione dei veicoli.
Sembra il libro dei sogni.
Siamo i primi a renderci conto che non si tratta di obiettivi facili. Operiamo in 165 Paesi e dobbiamo riconvertire 122 stabilimenti. Abbiamo già stanziato investimenti per 25 miliardi di euro sulla piattaforma modulare che metteremo a disposizione anche della concorrenza per produrre auto elettriche. La Ford, per esempio, la utilizzerà.
Che differenza c'è fra la E-Up! e la E-Golf, che vendete da anni, e la Id.3?
Abissale. Le prime due sono vetture pensate per un motore a scoppio e adattate al motore elettrico. Dopo 200 o 220 chilometri devono effettuare la ricarica. La Id.3 si può considerare come una batteria che viaggia su quattro ruote, con un'autonomia di 330, 420 o 550 chilometri a seconda del taglio prescelto dal cliente.
Pare però che nelle viscere del pianeta non ci siano litio, cobalto e altri metalli nobili a sufficienza per produrre le batterie.
Una fake news. Ce ne sono a sufficienza per costruire miliardi di auto elettriche, si fidi.
E l'energia per ricaricarle dove la troveremo?
Il Politecnico di Milano ha calcolato che 1 milione di auto elettriche richiede lo 0,5% in più di energia. Quindi, per 10 milioni di vetture, appena il 5%.
Allora com'è che d'estate ci sono i distacchi programmati perché non c'è corrente a sufficienza per i climatizzatori di casa?
I condizionatori vengono accesi tutti nelle stesse ore e nello stesso luogo, mentre le auto si ricaricano in località e in momenti diversi. L'interconnessione delle reti fra diversi Paesi offrirà la possibilità di gestire i picchi di domanda elettrica a livello globale.
Ma di colonnine per la ricarica in giro se ne vedono ben poche.
In Italia sono già oltre 10.000, in Europa presto più di 180.000. Le compagnie petrolifere stanno entrando nel business dell'elettrico. E il 70% delle ricariche avviene a casa o nei luoghi di lavoro, non per strada.
Sì, ma resta il punto dolente dei tempi di ricarica.
Con quella veloce basteranno 30 minuti. Chiaro che quella domestica richiederà alcune ore. Stiamo lavorando alacremente sulle batterie, che saranno sempre più efficienti e sempre meno costose. Infatti dal 2010 il loro prezzo è calato dell'80%.
Ma le elettriche non sono un po' scialbe in termini di prestazioni?
Al contrario. Sono brillantissime, perché il motore elettrico offre la coppia massima da subito, mentre il motore termico la raggiunge solo a un certo numero di giri. Questo significa un'accelerazione e una ripresa eccezionali. Anzi, elettrizzanti.
Quanti posti avrà la Id.3?
Cinque. Mancando il tunnel centrale della trasmissione, l'abitacolo è molto più spazioso. Non è paragonabile a nessuna auto in circolazione. Ha una plancia avveniristica, con un enorme touch screen.
Quando arriverà in Italia?
La produzione è cominciata lo scorso novembre. Per le consegne si va alla primavera di quest'anno. La cosa più stupefacente è che dal maggio 2019 in tutta Europa 37.000 persone l'hanno prenotata senza nemmeno sapere quanto costa.
Siamo a gennaio, il prezzo lo sa.
Non ancora. Quello del modello con 330 chilometri di autonomia dovrebbe essere di poco inferiore ai 30.000 euro.
Un'auto che non fa rumore rischia di falciare i pedoni.
Rovescerei la prospettiva: un'auto che non fa rumore renderà silenziose le città. Ci pensi: per la prima volta, dopo oltre un secolo, nelle strade non si udirà più il rombo dei motori. Finalmente potremo ascoltare solo le nostre voci. E non respireremo più lo smog. Nel Regno Unito, dove si guida a sinistra, le strisce pedonali sono accompagnate dalle scritte «Look left» e «Look right», guarda a sinistra e guarda a destra, e non mi risulta che la percentuale d'investimenti sia più alta. È la prova che i pedoni per strada di solito tengono gli occhi aperti.
Il povero Sergio Marchionne definì l'auto elettrica «un'arma a doppio taglio». La Germania, per esempio, ricava il 45% dell'elettricità dal carbone e dalla lignite, fonte estremamente inquinante, e continuerà a farlo fino al 2040, quando a livello planetario l'energia fossile peserà ancora per il 77%.
Il parco dei veicoli circolanti in Italia è di circa 35-36 milioni. Se per magia li facessi diventare tutti elettrici in questo istante, mi servirebbe un 18% di energia in più. Nel 2030 in Italia essa sarà ottenuta al 55% da fonti rinnovabili: idroelettriche, solari, eoliche. Pochi lo sanno, ma già oggi queste coprono più di un terzo del fabbisogno. Dovremmo poi considerare che l'eventuale inquinamento per produrre più elettricità verrebbe comunque largamente controbilanciato dalle emissioni zero di CO2 delle auto.
Greta Thunberg è una minaccia per voi?
Semmai uno stimolo a non mancare il traguardo finale.
Però la sua emula Janna Aljets, detta Tina Velo, ha tentato di bloccare il Salone di Francoforte e teorizza «azioni non legali ma legittime» e «disobbedienza civile» per fermare le auto che provocano il riscaldamento globale.
Stiamo parlando di un'industria che dà lavoro a milioni di persone. I dipendenti diretti della sola Volkswagen nel mondo sono 640.000. Va cercato un punto di equilibrio fra economia e ambientalismo.
Lei che cosa guida?
Una E-Golf a Verona. Un'Audi Q5 ibrida plug-in nel fine settimana a Roma, dove risiede la famiglia.
La prima auto della sua vita quale fu?
La Fiat 850 Special di mio padre. È servita per la scuola guida di tutti e tre i suoi figli. Poi ho avuto una Renault 5 in comproprietà con un fratello. La prima tutta mia è stata una Panda 30, pagata 4 milioni di lire sull'unghia nel 1980.
Ai giovani l'auto non interessa, preferiscono smartphone e tablet. Negli ultimi sei anni, secondo un rapporto Censis-Michelin, i neopatentati sono diminuiti del 12,7% o del 15,5 a seconda delle fasce d'età.
È così. Del resto quelli della mia generazione sono nati in un'epoca in cui ci volevano sette ore per andare in treno da Milano a Roma e un volo costava mezzo stipendio. Per noi l'auto rappresentava la libertà di movimento, un biglietto da visita per entrare in società e persino un nido d'amore. Di quanto sia cambiato questo rapporto me ne accorgo dal fatto che i miei figli l'auto non la lavano mai.
Sul Corriere della Sera i lettori protestano perché il premier Giuseppe Conte viaggia in Volkswagen anziché su un'italiana.
Sarebbe una lamentela sensata se sapessero che cosa c'è dietro la scelta di Palazzo Chigi. Abbiamo vinto una gara d'appalto, fornendo una vettura che è stata blindata in linea di montaggio, quindi con vantaggi senza pari in fatto di minori costi e maggiore sicurezza.
Sono in arrivo i taxi con le ali. All'auto che vola lei ci crede?
Devo: si è vista questo mese al Consumer electronics show di Las Vegas. Ma si muove entro un orizzonte temporale che non fa parte della mia vita né professionale né terrena.
L'Arena
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