Se Conte pensa di rafforzarsi politicamente gestendo da Palazzo Chigi i 207 miliardi del Recovery Fund si sbaglia di grosso, «gli fanno la crisi di governo due giorni dopo, non arriva all'autunno». Giorgio La Malfa, economista, ex parlamentare e più volte ministro (al Bilancio negli anni Ottanta e alle Politiche comunitarie nel 2005), con la Fondazione dedicata al padre Ugo La Malfa analizza temi e problemi di attualità economica e di politica nazionale e internazionale. «Conte ha avuto un successo enorme. Ora deve gestirlo. E per farlo bene deve rinunciare ad amministrare la miniera dei 207 miliardi che Bruxelles ci ha concesso. Ci vuole una soluzione istituzionale», dice La Malfa, «che assicuri una spesa efficace dei fondi». Insomma, una nuova Iri? «Direi una nuova Cassa per il Mezzogiorno, o meglio per l'Italia, guidata da una personalità autorevole, che abbia un prestigio internazionale e che sia l'interlocutore stabile dell'Europa per la durata del Recovery Fund». E se gli si chiede se potrebbe essere Mario Draghi, La Malfa risponde: «Sarebbe perfetto. Del resto se facessimo un sondaggio tra gli italiani non so quanti sarebbero contrari ad affidare i loro soldi all'ex presidente della Bce. E in parlamento avrebbe un consenso quasi plebiscitario». Chi ci ha perso politicamente con l'accordo europeo? «I due grandi sconfitti italiani sono Luigi Di Maio e Matteo Salvini».
Domanda. Chi sono i vincitori della partita sul Recovery Fund?
Risposta. La Germania si è dimostrata all'altezza del ruolo che la sua dimensione economica le impone. La melina dei cosiddetti Paesi “frugali” le ha fornito la possibilità di andare incontro alle difficoltà di Paesi come l'Italia e la Spagna senza rischiare di indebolirsi troppo tra l'elettorato tedesco. La cancelliera Merkel si è ricollocata nel solco che aveva caratterizzato la politica tedesca fino al 1989. Ha saputo portare all'accordo la gran parte dei paesi dell'Europa centro-orientale. .
D. E quanto all'Italia?
R. Si tratta di un indubbio successo del presidente del Consiglio Giuseppe Conte e della parte dei 5 Stelle di cui oggi il premier è guida sostanziale, ma anche del Pd che ne ha sostenuto l'azione in Europa attraverso Sassoli e Gentiloni. Il successo dell'esecutivo è accresciuto dalla frattura profonda intervenuta nell'opposizione.
D. Forza Italia ha fatto prevalere la sua anima europeista.
R. Forza Italia, da molti mesi a questa parte, ha assunto una posizione saggia sul fronte europeo. Ma anche la leader dei Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni, appena ha visto gli errori sul dossier di quello che apparentemente è ancora il leader della coalizione di centro-destra si è vistosamente dissociata.
D. Chi sono gli sconfitti politici in Italia?
R. Ce ne sono sia nella maggioranza che nell'opposizione. I due principali sono Di Maio e Salvini. Il ministro grillino da un lato e il leader della Lega dall'altro hanno sbagliato il posizionamento. Salvini che ha detto che l'accordo è una fregatura e che ha un bisogno disperato che le cose in Italia vadano male per poter riavere una sua centralità. E poi Di Maio che schiuma rabbia, si sta vedendo sfilare la leadership vera del Movimento5stelle da Conte. E ha un bel dire che per ben due volte ha rinunciato a fare il presidente del consiglio.
D. Ma Salvini è sempre il leader del centrodestra, con posizioni così estreme sull'Europa?
R. L'ha di fatto già persa. Se Conte dovesse andare al voto in questi mesi, alla guida di uno schieramento di centrosinistra, il centrodestra guidato da Salvini perderebbe. Conte e Meloni potrebbero celebrare le rispettive rivincite.
D. Ora bisogna utilizzare i 200 miliardi dal 2021, una cifra monstre, legata all'attuazione di riforme epocali. Conte ha detto che li gestirà da Palazzo Chigi con un comitato. Di Maio parla di cabina di regia.
R. Se è questa l'impostazione è sbagliata. Se si pensa di poter gestire i fondi da Palazzo Chigi dividendoli tra mille agenzie di spesa -ministeri, regioni, enti locali- vorrà dire che le risorse si disperderanno , li spenderemo male e una parte non li spenderemo neppure.
D. Perché male?
R. Male perché Palazzo Chigi non ha la possibilità e la capacità di un confronto comparativo sul dove allocarli, potrà al massimo distribuirli, non impegnarli. Non basta dire che li si darà ai trasporti, alla sanità, all'industria: ma per fare cosa? Bisogna avere idee di politica economica, ambientale, scolastica, e poi avere un soggetto che in situazione emergenziale e con ampi poteri possa impegnare efficacemente le risorse. Modificando anche le norme e le procedure. Guardi che se l'Italia spende solo il 2% in opere pubbliche dipende non solo dal fatto che ci sono restrizioni di bilancio ma perché ci sono talmente tanti vincoli burocratici che non si può lavorare.
D. Il Governo ha varato il dl Semplificazioni, che gliene pare?
R. Un coacervo di eccezioni, di deroghe, mentre servivano soluzioni semplici. Vogliamo replicare il modello Genova o la paralisi dell'Italia degli ultimi 30 anni? E l'Europa sopporterà un modello che riproduce i vizi della vecchia Italia?
D. Ma perché la cabina di regia di cui si parla non può essere il luogo da dove impegnare le risorse?
R. Ma lei sa cosa è una cabina di regia? È la stanza nella quale si distribuiscono o si lottizzano i fondi, a seconda di come la si vuole dire. È una sede politica di distribuzione tra i partiti della maggioranza, dopo una lotta feroce e senza esclusione di colpi. Ma qui serve altro altrimenti perdiamo una occasione storica.
D. Cosa?
R. Serve una soluzione istituzionale che assicuri una spesa efficace dei fondi. Che definisca, in base alle linee guida di politica del governo, i criteri di finanziamento trasparenti delle opere. E decida quali progetti mandare avanti, dando i fondi direttamente per il progetto a chi lo deve realizzare.
D. Insomma una nuova Iri.
R. Io direi una nuova Cassa per il Mezzogiorno o meglio per l'Italia. Sul modello della Tennessee Valley authority del New Deal americano di Roosevelt. Un ente che finanzi i progetti in base a priorità che sono state decise dal governo con il parere del parlamento, ma che è completamente autonomo dalle singole amministrazioni e dalle correnti politiche del governo. Le dico di più.
D. Dica.
R. Se il governo avesse già identificato una impostazione istituzionale e un nome come presidente o commissario, da incaricare con decreto del presidente della repubblica su indicazione del governo e con il parere favorevole del parlamento, le trattative sul Recovery Fund sarebbero state meno faticose. Molti dei dubbi che i Paesi frugali avevano sollevato verso l'Italia si sarebbero dissolti subito. Se oggi dobbiamo spendere 200 miliardi, l'11%del reddito nazionale, non possiamo distribuirli tra i vari ministeri così come fatto finora.
D. Conte teme di indebolirsi cedendo la gestione dei fondi.
R. Ma è l'esatto opposto. Se Palazzo Chigi ha una miniera d'oro, gli aspiranti gestori della miniera d'oro faranno di tutto per prendere il posto di Conte. Se il premier si vuole rafforzare, e se lo merita, se ne deve liberare. Ha avuto un successo, ora deve gestirlo. Non affossare il Recovery fund in comitati e cabine, così lo fanno saltare dopo due giorni, non arriva all'autunno. Ma deve affidarsi a un ente esterno, terzo. E a un personaggio autorevole, che abbia prestigio internazionale e che interloquisca stabilmente con l'Europa fin quando dura il Recovery Fund.
D. Mario Draghi?
R. Perché no, il suo identikit è perfetto. Del resto se facessimo un sondaggio tra gli italiani non so quanti sarebbero contrari ad affidare i loro soldi all'ex presidente della Bce. E in parlamento avrebbe un consenso quasi plebiscitario
D. Non farebbe ombra a Conte?
R. Conte avrebbe una posizione inattaccabile, entrerebbe nei libri di storia. E si presenterebbe come l'unica guida possibile per il centrosinistra alle prossime elezioni.
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