Dal tax planning alla compliance: ecco lo scudo per la reputazione aziendale
Dal tax planning alla compliance: ecco lo scudo per la reputazione aziendale
Qualche anno fa la parola d’ordine tra i vertici delle medie/grandi imprese era tax planning, cioè pianificazione fiscale. Ora l’idea che va per la maggiore è quella di compliance, funzione a difesa della reputazione aziendale e della fiducia degli stakeholder

di Marino Longoni 04/07/2022 07:52

Qualche anno fa la parola d’ordine tra i vertici delle medie/grandi imprese era “tax planning”, cioè pianificazione fiscale, o meglio, come pagare meno tasse. Ora l’idea che va per la maggiore è quella di “compliance”, che si può tradurre con “conformità”, o meglio, “adempimento collaborativo”, tanto da essere ormai considerata “una funzione a difesa della reputazione aziendale e della fiducia degli stakeholder in ottica strategica”. È quanto emerge dal sondaggio realizzato da compliancedesign.it in collaborazione con lo studio Carnà & Partners di Milano. Si è capito, insomma, che il bene più prezioso dell’azienda, il pilastro della sua sostenibilità, è la reputazione, il buon nome, come si diceva una volta. È la sua credibilità che permette all’azienda di stare sul mercato e di avere relazioni soddisfacenti con clienti, fornitori, banche, lavoratori, mondo politico.

Sono quindi notevoli i passi in avanti fatti dal 2005 quando il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria ha introdotto la norma sulla compliance, la funzione compliance e la figura del compliance manager con l’intento di introdurre una svolta al sistema di governo d’impresa o governo societario delle banche. Ci si è resi conto, circostanza oggi conclamata, del valore centrale e strategico del rischio compliance, definito come il rischio di incorrere in sanzioni giudiziarie o amministrative, perdite finanziarie rilevanti o danni di reputazione in conseguenza di violazioni di norme imperative (di legge o di regolamenti) ovvero di autoregolamentazione (es. statuti, codici di condotta, codici di autodisciplina, policy) secondo un approccio non “adempimentalistico” ma effettivo. In Italia, parallelamente, è il progressivo ampliarsi dei reati ricompresi nell’ambito applicativo del dlgs 231/01 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche che ha incrementato l’attenzione di tutte le imprese e le organizzazioni verso l’utilità di istituire una funzione che operi su tutto l’orizzonte dei rischi che incombono nell’organizzazione e, più in generale, verso una più articolata gestione del rischio di compliance. Oltre quelli già citati e legati alla c.d. 231, i rischi di non conformità possono essere molteplici e possono variare in funzione del settore di appartenenza, delle dimensioni, dell’organizzazione, dei mercati di riferimento: antitrust, ambientali, antiriciclaggio, salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, market abuse, anticorruzione, fiscali, privacy, regolatori, solo per citarne alcuni. Con l'emergere di nuovi rischi e normative quasi giornaliere, le organizzazioni, i manager e i consulenti devono essere in grado di adattarsi rapidamente al futuro. E la tecnologia è destinata a giocare un ruolo fondamentale, favorendo la capacità di collaborare in maniera coordinata con dati affidabili e in tempo reale, per migliorare i tempi di risposta e aumentare la resilienza. La sfida di oggi sembra quindi essere la capacità di attuare una compliance in grado di prevenire i rischi senza ingessare il business.